Truman – Fratelli e sorelle, un servizio pubblico

Dalla Domenica del Sole 24 Ore del 3 giugno 2012

Chi non è mai entrato in un carcere non è mai entrato in un carcere. Barbara Cupisti ci è entrata come regista del documentario “Fratelli e sorelle” e ha fatto un vero servizio pubblico, dando voce con Rai Cinema e Rai Teche a chi di solito non parla in tv. I primi 50 minuti sono andati in onda su Rai 3 lunedì 28 maggio alle 23, la seconda parte sarà trasmessa questa sera alla stessa ora. Da vedere.

Perché in un carcere tutto è diverso: il rumore è più rumore, l’odore è più odore, il caldo è più caldo e il freddo è più freddo. Raccontare poi le prigioni italiane è un servizio pubblico perché significa descrivere una situazione intollerabile di degrado e di noncuranza della dignità umana. La denuncia, anche all’inizio del filmato, arriva dalle parole del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: “Questione di prepotente urgenza”. L’unico altro leader politico citato (da un detenuto) è Marco Pannella, che da mesi, anni, si batte perché si affronti, anche con l’amnistia, quella che è una vera questione sociale, non soltanto un problema di giustizia. Le carceri è bene che stiano nelle città come su una rete tv pubblica, perché non ci si dimentichi di quel luogo dove dovremmo recuperare chi ha sbagliato e dove invece spesso nascondiamo, come briciole sotto tappeti, guai irrisolti: tossicodipendenza, immigrazione clandestina, crisi giovanile. Non c’è voce narrante, parlano i protagonisti, tutti: detenuti, detenute con bambini prima prigionieri obbligati con le madri e poi, dopo i tre anni, separati per obbligo dalle madri, la polizia penitenziaria, i direttori.

Nelle carceri italiane ci sono 67.000 persone, ma i posti sarebbero 47.000. La polizia penitenziaria è sotto organico di 7.000 unità. Il 43 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio, la metà è poi assolta. Basta? Il direttore del carcere di Trieste, Enrico Sbriglia, spiega perché serve un diritto penale mite, compassionevole: “Non è una debolezza”, anzi, la ragionevolezza sarebbe la prova della forza dello Stato. E non c’è nulla di più innaturale di un bambino dietro le sbarre: “Lui chiude tutto, per lui deve stare tutto chiuso”. E per noi?

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