I mezzi salvataggi – e siamo a quattro – sono biada per la parte del mercato che scommette al ribasso, cioè sulla frattura piuttosto che sulla sopravvivenza dell'euro e dell'Europa. E' successo sempre, negli ultimi due, tre anni. Per questo si ha la sensazione della trappola, come ha spiegato sul Sole 24 Ore di oggi Attilio Geroni: "Fanno in tutto quasi 500 miliardi che l'Europa ha messo sul piatto".
Di fronte a ogni situazione di crisi la successione degli eventi è stata più o meno questa: problema, aggravarsi del problema, dibattito, trattativa, mezzo salvataggio, ovviamente senza chiamarlo né salvataggio né sanzione per chi ha sbagliato, dita incrociate, sollievo per qualche tempo (questa volta per noi neanche quello), successiva situazione problematica nel mirino. E via da capo.
Eppure l'Europa continua a salvare paesi senza salvarli, a salvare banche senza salvarle, a tamponare falle (con la Banca centrale europea più che con la politica europea) senza voler prendere atto che è la barca nel suo complesso che va messa in sicurezza con la più semplice e – pare – impossibile delle ricette, appunto, la politica. Ovviamente è anche una questione di leadership. E questa può essere colpa della storia.
Come ha ricordato il professor Giuliano Amato sul Sole 24 Ore di domenica scorsa, questa crisi ha un paradossale effetto positivo: riporta al centro del dibattito la necessità di un'Unione politica oltre che contabile. Come il Sole 24 Ore dice da mesi, proponendo un manifesto in cinque punti per rifare l'Europa e tre cose da fare subito per fermare l'ondata negativa, descritte nell'editoriale di oggi del direttore, Roberto Napoletano.
Mentre il dibattito si dipana, la parte del mercato che scommette al ribasso mena. Forse il problema europeo è stato soprattutto quello di non aver scelto e di non scegliere una strada in modo netto e chiaro. L'Europa non ha scelto la strada della sanzione per chi ha sbagliato i conti, salvando un po' anche chi era in fallo. Ma non ha nemmeno scelto la strada del salvataggio completo, della blindatura certa e solidale di chi era in fallo e dunque in balia della parte del mercato che ha scommesso e scommette sul peggio.
Non scegliendo in modo chiaro e forte una delle due vie possibili, quella più interventista e keynesiana o quella più rigorista tesa anche a sancire il valore dell'azzardo morale, gli spazi di manovra per chi investe sul meno si sono spalancati e fatta una vittima, mezza salvata, c'è sempre un'altra preda da mezzo sbranare prima che sia mezza salvata.
Ogni volta che i mercati danno mostra di questa trappola europea, mi tornano in mente le parole di Otmar Issing al Sole 24 Ore dell'11 febbraio 2010: "Molti credono che non aiutare la Grecia oggi provocherebbe un effetto domino: altri paesi deboli sarebbero colpiti dalla speculazione. Temo che ciò succederebbe lo stesso".