Barca, gru, un ministro tecnico dal futuro politico e un serio problema italiano

Uno dei ministri di cui meno
si parla, tranne eccezioni come Claudio Cerasa del Foglio quotidiano, ma che
più ha possibilità di avere un ruolo politico nel prossimo futuro è il responsabile
del dicastero della Coesione territoriale, Fabrizio Barca. Il ministro ha un
curriculum perfetto per piacere soprattutto a sinistra. Ha insegnato politica
economica e finanza aziendale. E’ stato presidente del comitato per le
politiche territoriali dell’Ocse, è torinese ma si è occupato molto di Meridione,
anche in sede europea. Inoltre, suo padre Luciano era anch’egli un economista,
partigiano, deputato e senatore del Pci, oltre che direttore dell’Unità.

Erano esagerate
le voci, che pure sono circolate, di una sua possibile candidatura a premier
per il centrosinistra nel caso in cui fosse saltato lo schema attuale
Bersani-primarie, ma Barca resta indubbiamente un esponente dell’esecutivo
tecnico da seguire da vicino per capire alcune delle prossime caratteristiche
di un nuovo, eventuale centrosinistra di governo (politico), sempre che
l’economista di Torino voglia schierarsi.

La sua intervista di ieri al
Corriere della sera
denota tre caratteristiche principali. Capacità di trovare
uno slogan, per di più a doppio significato, facilitando il compito del
titolista: “Voglio vedere le gru nei cantieri”, nel senso di attuare quanto
fatto finora dall’esecutivo guidato da Mario Monti ma anche nel senso letterale
dei lavori pubblici da avviare. La seconda caratteristica si coglie al fondo
della conversazione con Antonella Baccaro ed è un certo gusto dell’ironia mista
a fierezza. Domanda: “Ministro, cosa farà dopo?”. Risposta: “Dopo quando?”. “Quando
finirà la fase discendente di questo governo”. Risposta: “Perché, finisce?”.
Come dire che innanzitutto è meglio che almeno l’agenda Monti, se non proprio
Monti
, resti in campo e in secondo luogo (e indirettamente) c’è una piccola
conferma che Barca vede per sé un ruolo simile all’attuale anche nel prossimo
futuro. La terza caratteristica è invece una puntuale e fresca sintesi nella
diagnosi di uno dei mali fondamentali del nostro paese: l’Italia preferisce una
logica da spartizione dei premi e dei posti e delle eventuali colpe piuttosto
che da assunzione di responsabilità individuale. Spesso quando qualcosa non
funziona è perché ci sono troppi enti e/o soggetti almeno in parte preposti ad
avere un ruolo nella soluzione di quel qualcosa. Tanti capi nessun capo né coda. In sostanza, non c’è mai uno
che comanda e si assume le responsabilità delle decisioni prese per risolvere
un determinato problema. (Diciamo tra parentesi che anche in questo senso il
professor Mario Monti sta creando un’eccezione che conferma la regola o almeno
ne sta dando la percezione all’opinione pubblica: ci sta provando).

La mancanza del capoprogetto,
del curatore, del responsabile, del leader, dell’unica testa che può essere
premiata o tagliata, in senso metaforico ovviamente, è un problema che vale per
la cultura, per i lavori pubblici, per la scuola, perfino per lo sport.
Ovviamente ciò è frutto di un retaggio storico-culturale (sacrosanto) che ha
fatto sorgere nella nostra intellighenzia, nella nostra opinione pubblica e poi
quindi nella nostra organizzazione dello Stato, a partire dalla Costituzione,
una certa sana diffidenza nei confronti dell’uomo solo al comando, visto il
dramma del fascismo.

La cosa è andata via via peggiorando, dal punto di vista
dell’incapacità ad accettare un decisore unico che si assume le responsabilità
ed eventualmente paga pegno elettorale e/o professionale per i propri errori,
tanto da far risultare per molti versi incompatibili con il nostro sistema
leader politici come Bettino Craxi e poi figure tecnico-gestionali come Guido Bertolaso,
al di là delle specifiche circostanze e degli errori che hanno
segnato le storie personali di entrambi questi esempi. (Il caso Berlusconi,
anche su questo campo, meriterebbe un discorso a parte e ovviamente molto lungo). 

Chi gestisce decidendo? Questo
è il problema.
Ecco come lo spiega, tornando dal macro delle responsabilità del
governo nazionale allo specifico di questioni come la gestione dei terremoti,
il ministro Barca: “Il modo per sbloccare molti interventi che sono fermi non
è, come dicono molti, semplificare le procedure ma individuare qualcuno che le
gestisca, assumendosene la responsabilità. Siamo bravissimi nelle emergenze, poi
però ci perdiamo nella ricostruzione”.

Anche quest’ultima frase ha un doppio
significato (politico e no) come quella sulle gru nei cantieri?