Ipotesi, suggestioni e battute a proposito del professor Tremonti

Che cosa sta facendo e soprattutto che cosa farà il professor Giulio Tremonti? Diciamo la verità, non c'è ruolo più complicato e ingrato di quello dell'ex ministro dell'Economia in un paese come l'Italia, da anni martoriato prima dalla crescita zero e poi dalla crisi, fenomeni che hanno appesantito sempre di più il fardello del debito pubblico, anche perché accompagnati da una pressione e da un'evasione fiscale quasi senza pari. Ricordate la fama di allora del peraltro ex "vice" ministro Vincenzo Visco dopo l'esperienza del governo Prodi? Ecco, qualcosa di analogo sta accadendo all'ex ministro Tremonti.

Il professore non può prendersi alcuni meriti che sarebbero anche suoi – la riforma delle pensioni del governo Monti e qualche altro provvedimento preso dai tecnici erano certamente già in fase di avanzata cottura regnante l'esecutivo Berlusconi, che però non aveva la forza di vararli – e non può prenderseli, Tremonti, perché pur riconoscendo alcuni meriti dell'attuale compagine governativa e alla sua guida, Mario Monti, si è distanziato anche nell'ultima intervista al Corriere della sera degli inizi di settembre, quella in cui lui – anch'egli in fondo un tecnico prestato alla politica – ha delineato il manifesto di una sua eventuale lista per le elezioni con due direttive, anzi tre: il rispetto e il rilancio della sovranità nazionale, il primato della politica sulla tecno-finanza, i limiti da mettere alla società finanziarizzata.

Sì, ma che cosa sta facendo ora e soprattutto che cosa farà poi? Difficile pensare che un uomo così centrale fino a pochi mesi nello scenario politico italiano (e in parte europeo) esca lentamente di scena, si consideri fuori dai giochi. Anche perché nel centrodestra, nonostante alcuni atteggiamenti aspri, come quello dell'altro ex ministro, Renato Brunetta, che alcune sere fa a La7 a una domanda su Tremonti ha risposto: "Non lo consoco", nel centrodestra, dicevamo, non è che abbondino gli economisti o i giuristi di provata esperienza e di fama internazionale.

Qualche asprezza lessicale e qualche difficoltà di rapporto politico da parte e nei confronti dei suoi (ex?) compagni di partito e colleghi di governo Tremonti l'aveva messa in conto, anche perché da via XX settembre lo stesso professore aveva saputo ben dosare commenti caustici e bacchettate agli "amici". Ora dunque qualcuno si prende qualche rivincita. Poco male. Fa parte del gioco politico, Tremonti lo sa e per ora tace. Ma appunto del gioco si vuole considerare parte.

C'è chi dice che stia sempre più spesso lontano dalla politica romana, che sia tornato a riflettere qui al Nord, nei suoi uffici da tecnico, da professore esperto di fisco, che si faccia vedere soltanto per qualche sporadica intervista o per qualche sparuto evento, magari legato al suo libro. I giornalisti, in una o due occasioni, hanno segnalato la sua presenza negli uffici milanesi della Lega prima bossiana, ora maroniana. E poi basta.

Anche il suo sito, peraltro ben fatto, è poco aggiornato perché c'è poco da aggiornare, sebbene – dicono i soliti ben informati – possa contare ancora su un numero di contatti e di interessamenti esterni da parte dei navigatori non certo di basso profilo, tutt'altro.

La voce più insistente è che alla fine farà una sua lista, uscendo dal Pdl. Sì, d'accordo, ma per stare con chi? E poi come si concilia questo obiettivo con il silenzio e il defilarsi solitario a riflettere di questi ultimi tempi? E una lista per agire in quale alveo? Con quale spazio di manovra politica?

I bookmaker, aiutati dagli stessi ben informati di cui sopra, dicono che – vista anche la sua ultima intervista poco montiana, molto antifinanza e con un pizzico di euroscetticismo spinto – l'uscita di sicurezza più probabile è che si crei un rapporto sempre più stretto tra Tremonti e la Lega nord di Roberto Maroni. Vanno soltanto superate alcune incomprensioni del passato tra i due ex ministri, dovute anche al rapporto stretto di Tremonti con Umberto Bossi (e con le forbici di chi deve tagliare, anche le risorse per ministeri importanti). Poi la Lega – Maroni lo sa – ha bisogno come il pane di un "pensatore" politico-economico con le idee e il curriculum del professore.

E' vero, è anche per il ferreo rigore tremontiano che il federalismo ha frenato negli ultimi mesi, se non anni, ma il professore non ha mai rinnegato il credo federalista e comunque è difficile trovare nella Lega qualcuno che a una domanda su Tremonti risponda: "Non lo conosco".

Ovviamente la vicinanza di Tremonti e del suo mondo con la Lega non escuderebbe un'alleanza con il Pdl o una qualche forma di collaborazione in tal senso, sempre che un patto ci sia tra il partito di Silvio Berlusconi e il movimento del nord.

C'è un piccola seconda ipotesi. Nel centro in sommovimento, con tante liste nuove alle viste, ci sono molti altri professori, alcuni dei quali non hanno certo amato, stimato, elogiato Tremonti in passato, ma la politica appiana le ruggini, soprattutto sotto elezioni, e non è detto che alla fine sia proprio escluso del tutto un dialogo tra il Polo della crescita e l'ex ministro.

L'ultima suggestione non è proprio nemmeno una voce, è soltanto una battuta. Ma va fatta proprio per non scartare nulla. Nel mondo tremontiano (peraltro come in quello prodiano, con il quale il prof. ha sempre amato dialogare) si guarda con attenzione al fenomeno Matteo Renzi. E guardare è gratis.