Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, aveva appena finito di dire a Porta a porta che in fondo il Popolo della libertà è più montiano del Partito democratico, sebbene abbia annunciato l'uscita dalla maggioranza e così provocato la crisi di governo, quando il presidente del Pdl, Silvio Berlusconi, ha attaccato il premier (e lo spread) dai microfoni di Canale 5, mentre su Rai 1, in una specie di bipolarismo da palinsesto, il presidente del Consiglio, Mario Monti, sfoderava la sua verve situazionista per raccontare del suo nipotino chiamato spread all'asilo.
E' davvero iniziata la campagna elettorale e ora tocca a Pier Luigi Bersani decidere se restare fuori dalla mischia, preservando la sua scelta mitterrandiana da forza tranquilla per il cambiamento, o sbracciarsi per farsi notare tra un botta e risposta tra Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli come tra Roma e Berlino.
Insomma, come ha spiegato oggi sul Sole 24 Ore Stefano Folli: Mario Monti, in campo oppure no, sarà il candidato di pietra di questa stagione elettorale invernale. Anche perché Berlusconi non vuole Monti in campo perché gli farebbe concorrenza sui voti, Bersani perché gli farebbe concorrenza per Palazzo Chigi, dunque il premier è al centro della scena, comunque. E' in campo anche se non lo è.
Ci resterà correndo in prima persona? Questa è la domanda del momento e lo sarà ancora per alcuni giorni. Da tenere d'occhio ci sono due date: il 20 e il 21 dicembre. Se non succede nulla prima, il 20 l'iniziativa Rimontiamo l'Italia, guidata da Benedetto Della Vedova, capogruppo del Fli alla Camera, con Gianluca Galletti (Udc) e Linda Lanzillotta (Glocus) chiama a raccolta i montiani a Roma; il 21 dicembre c'è la conferenza stampa di fine anno del presidente del Consiglio, a due mesi dalle elezioni. Se non prima, quel giorno si conoscerà il futuro politico immediato di Monti (e dei montiani).
Lasciando i massimi sistemi ad altri e più autorevoli luoghi, si potrebbe ragionare sulla semplice convenienza di Monti. Molti dicono: "Al premier non conviene impegnarsi in prima persona in campagna elettorale, guidando uno schieramento con il centro, pardon, al centro, perché restando fuori dalla gara ha più possibilità di andare al Quirinale e/o di restare a Palazzo Chigi". Ammettiamo che Monti possa comunque ancora restare fuori e ammettiamo di ragionare come se al mondo non ci fossero persone, e una di queste potrebbe essere proprio il professore, che mettono magari, chessò, le idee o il bene del paese prima della propria convenienza e/o ambizione personale, beh, si può comunque pensare che non sia vero lo scenario proposto per dire che a Monti non conviene scendere in campo.
Se la strana alleanza fosse arrivata fino alla scadenza naturale della legislatura, forse lo scenario sopra descritto avrebbe retto l'urto del voto e avrebbe davvero portato Monti o al Quirinale, garante nei confronti dell'Europa, o a restare a Palazzo Chigi in caso di risultato incerto. Ma con la crisi aperta dal Pdl la strana maggioranza non esiste più, Monti non può più essere super partes perché una parte lo ha attaccato fino ad aprire la crisi e dunque il premier, volente o nolente, è diventato un duro argomento della campagna elettorale. Lecito pensare che abbia voglia anche di darle, politicamente, non soltanto di prenderle.
Ma chi lo difende fino in fondo? Non certo il Pd e il centrosinistra, che hanno fatto primarie e alleanze per superare Monti e la sua agenda. Resta il centro, appunto, il suo eventuale schieramento, ma questo centro senza di lui è decisamente meno forte. Ed è naturale che sia così. Con lui invece potrebbe allargarsi almeno un po' per diventare addirittura un centrodestra alternativo.
Stando così le cose (premier a bordo campo ma tirato in ballo, centrosinistra che vince, Pdl/Lega che si contendono il secondo posto in Parlamento con il Movimento 5 Stelle, centro quarta forza senza spinta), quali garanzie avrebbe Monti di andare al Quirinale, ammesso appunto che sia guidato nelle sue scelte soltanto dalle ambizioni personali? La parola dei leader del centrosinistra.
Uhm, in politica contano i rapporti di forza e un Monti senza una forte rappresentanza parlamentare – diciamo che il centro senza Monti si potrebbe fermare, secondo i sondaggi, a un 10/11 per cento – è un autorevolissimo signore e professore della Bocconi che ha reso un bel servigio alla nazione in tempo di crisi ma che è sacrificabile sull'altare delle alleanze tra anime di una coalizione nel risiko delle cariche post voto. Anche perché Romano Prodi, come ha detto anche Nichi Vendola, è un altro buon candidato al Quirinale per il centrosinistra.
Un Monti con una più forte rappresentanza parlamentare – diciamo che il centro con Monti potrebbe arrivare a un risultato elettorale tra il 15 e il 20 per cento – sarebbe invece in grado di giocare il vero ruolo di ago della bilancia, riportando il centrosinistra, molto più probabilmente del centrodestra, a tenere in considerazione l'agenda Monti come base per il rispetto degli impegni europei, magari con lo stesso Monti a Palazzo Chigi, se il centrosinistra non sfonderà, o con Monti al Quirinale, se il centrosinistra vincerà più facilmente ma vorrà comunque avere una sponda forte in Parlamento.
In più un Monti in campo potrebbe garantire due cose: una voce un po' più grossa in Parlamento a difesa dell'Europa e delle riforme europee e l'offerta politica di un centrodestra alternativo a quello berlusconiano.
Volente o nolente, il Monti super partes è un ruolo che si addiceva allo scenario precrisi e preridiscesa in campo di Berlusconi. Monti lo sa benissimo, per questo motivo ha iniziato a rispodere, quando serve, e ora deve decidere se essere parte passiva, parte attiva nello sfruculiare i populismi e nel garantire la transizione, rassicurando l'Europa e i mercati, o protagonista di una sfida. Con rischi ma anche opportunità.
Ps. Peraltro la frase di Berlusconi sull'idea di ricandidare solo il 10 per cento dei parlamentari in carica rischia – dal punto di vista di Berlusconi – di ingrossare le file dei deputati e senatori tentati dalla svolta montiana. Vedremo.