Le parole rivolte alla sinistra Mario Monti, professore e presidente del Consiglio dimissionario, le ha dette in inglese, ma non per evocare Margaret Thatcher, anzi, semmai per ricordare, senza citarlo ovviamente, Tony Blair. Le parole rivolte alla sinistra in inglese sono queste: "True Progressism" (copyright The Economist) e tanto Pink e tanto Green, riferendosi ai temi del ruolo della donna nelle nostre società contemporanee e al peso dell'ecologia economica e/o dell'economia ecologica molto presenti a suo dire nella di lui ormai famosissima agenda.
Al di là delle contingenze – le liste elettorali da fare, i simboli da scegliere, il nome del capo della coalizione da designare, le pattuglie di delusi del Pd e del Pdl da accogliere in qualche modo sotto l'ombrello dell'agenda Monti – al di là delle contingenze del momento, si diceva, la grande offerta strategica di Mario Monti è rivolta alla sinistra, al centrosinistra, in due parole al Partito democratico.
Sarebbe banale e in giusto ridurre tutto il discorso di Monti a un semplice aut aut rivolto al Pd: o Nichi Vendola e la Cgil oppure il centrosinistra europeista con il Pd alleato di tutti coloro che si identificano fino in fondo con l'Agenda Monti, dunque con il centro. Sarebbe banale e ingiusto perché sarebbe un discorso di contenitori e non di contenuti, un discorso di schemini elettorali, e non dunque un progetto da statisti che degasperianamente invece di pensare alle prossime elezioni riflettono e pensano alle prossime generazioni. (E poi il centrosinistra un candidato premier legittimato dalle primarie ce l'ha già. Per questo motivo Monti continua a dire che non si tratta ora di parlare di leader e di personalismi, il discorso è più strategico).
Ecco, in via più strategica, e in un modo più accademico, tradizionale, istituzionale e meno passionale rispetto al tentativo messo in atto da Matteo Renzi, Monti sta offrendo al centrosinistra la prospettiva di rifondarsi profondamente su basi nuove, sulle idee di Pietro Ichino o Enrico Morando piuttosto che su quelle di Fassina. Monti, in un certo senso, si propone di essere il vincolo esterno capace di indurre la Grande riforma della sinistra post-ideologica, proprio come l'Europa funge da vincolo esterno capace di indurre alcune riforme nell'Italia post-ideologica.
Tutto ciò che accade e accadrà al centro sarà importante ai fini elettorali, ma nel medio-lungo periodo ciò che sarà decisivo – agli occhi di Mario Monti ma non solo – sarà la risposta che il Pd saprà dare alla grande offerta strategica del professore.
Il discorso vale anche e soprattutto per il mondo sindacale. Anche su questo campo Monti cerca di essere uno sprone e uno stimolo a vedere i cambiamenti della realtà economica del paese e del mondo per riscrivere lo spirito e gli obiettivi di una sana politica di relazioni industriali al passo coi tempi e non coi dogmi del passato.
Quando Monti dice che "liberale" sicuramente si sente, ma "conservatore" per lui è Vendola o chi nei sindacati frena la riforma delle politiche industriali, sta in sostanza dicendo al Pd che centro e sinistra assieme possono fare una cosa mai fatta in Italia: la Grande riforma.
E' curioso e molto originale il fatto che possa essere un professore della Bocconi (non a caso in grande sintonia, retroscena e piccoli momenti a parte, con un presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che dalla tradizione più occidentale del Partito comunista proviene) a provare a riformare dall'esterno la sinistra italiana attraverso l'offerta di un duraturo legame con un centro liberale non soltanto nella prospettiva del necessario governo dell'emergenza – ieri Monti non ha usato toni apocalittici, ma ha preferito orgogliosamente delineare i tratti europei di un'Agenda che ora deve pensare al futuro – ma anche e soprattutto per la missione di far tornare a crescere, di innovare e di riportare al centro dei processi di sviluppo economico e non solo il nostro paese.
Certo, per il Partito democratico questa offerta, se accettata, comporta anche rischi e costi, tradizioni da lasciar sfumare nel ricordo, aut aut da porre a consueti alleati, rapporti da rivedere con una parte del sindacato, slogan da riporre in soffitta, tic da superare, riforme da spiegare, anche perfino impopolarità da affrontare, e il tutto, per la sinistra, risulta ancora più complesso perché potrebbe avvenire prima o dopo elezioni che sembrano a portata di vittoria anche con l'utilizzo dei consueti argomenti della tradizionale socialdemocrazia.
L'offerta di Monti sembra valere sia per il periodo precedente le urne sia per quello immediatamente successivo. Nel primo caso avrebbe anche un dirompente e più sincero e più forte sbocco elettorale – basta immaginare quale risultato potrebbe ottenere una coalizione tra Pd e centro a guida montiana -, nel secondo caso invece risulterebbe più come una costrizione dovuta a un risultato elettorale incerto e/o a una convenienza per il centrosinistra ad avere un'ampia copertura europea con l'aiuto del professor Monti e delle forze che a lui si richiamano. We'll see.