Ecco perché Bersani vuole andare a sbattere contro Grillo

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Perché Pier Luigi Bersani, segretario del Partito democratico e leader del centrosinistra, vuole andare a tutti i costi a sbattere contro il "no" alla fiducia per qualunque governo da parte del movimento di Beppe Grillo?

Intanto perché non è così convinto di andare a sbattere e poi perché – sul punto ha ragione da vendere – spetta alla coalizione che bene o male ha vinto il premio di maggioranza alla Camera la prima mossa. E per Bersani la prima mossa è obbligata, anche perché tutte le altre lo vedrebbero immediatamente messo fuori gioco. 

Come auspicano le dichiarazioni sullo "scouting" e dintorni del Pd tra i neoeletti del Movimento 5 Stelle, come provano alcune petizioni in rete favorevoli a un dialogo tra democratici e grillini, come si sforzano di dimostrare molte interviste a esponenti della cultura e non solo, i bersaniani sono convinti di poter, magari alla fine, strappare qualche voto di fiducia in più a titolo personale al Senato. Vedi l'idea grillina di modificare il "senza vincolo di mandato" della nostra Costituzione per capire il timore di perdere in partenza alcuni parlamentari attratti dall'idea di collaborare al governo del paese da sinistra.

Oppure i bersaniani sperano in qualche escamotage tecnico – uscite e non uscite dall'aula concordate – per far nascere il governo di minoranza a guida Pd.

Questa ipotesi non tiene in debito conto, anzi lo dà un po' troppo per scontato, il ruolo dei senatori di Scelta civica: non è affatto detto che gli eletti montiani si prestino a un voto tecnico assieme ai grillini dissenzienti.

Inoltre è improbabile che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sia disposto a trasformare un mandato esplorativo in un mandato pieno sulla base di rassicurazioni in termini di voti a titolo personale di fiducia al nuovo governo.

Nonostante questi due elementi, per i bersaniani la via è percorribile.

Anche qualora dovesse andare male questo tentativo, in fondo Bersani è convinto che gli convenga affrettare i tempi tagliando dritto verso una e una sola ipotesi di soluzione. Svanita la quale, si potrà "scaricare" la responsabilità dell'irresponsabilità su Grillo e il suo movimento e correre al voto, il prima possibile, con Bersani di nuovo candidato premier del centrosinistra, come ha ricordato il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina.

Al di là di fenomeni curiosi e per certi versi apolitici, come il susseguirsi sui giornali di interviste a genovesi di fama e/o a iscritti alla Siae illustri per capire il fenomeno Grillo e convincerlo a riadattarsi nel ruolo di nuova e più rivoluzionaria Rifondazione comunista – ma perché mai dovrebbe farlo, anche vista la fine di Rifondazione comunista? – oppure come l'idea che (il genovese) Don Andrea Gallo possa essere il pontiere del nuovo decennio nel dialogo tra democratici e grillini, i bersaniani e Bersani sanno benissimo che Grillo e i suoi non hanno alcuna intenzione di votare la fiducia a qualsivoglia governo e per certi versi hanno tutto l'interesse a non allearsi proprio con il partito tradizionale per alcuni aspetti più vicino a loro, per non compromettere sul nascere la loro natura di movimento antisistema nel sistema.

Dunque Bersani vuole consapevolmente andare a sbattere contro il "no" alla fiducia per accorciare i tempi dello stallo (e questo potrebbe perfino essere un bene per il paese) e per impedire l'uscita di scena del suo esperimento alla guida del Pd e del centrosinistra (e questo è sicuramente un bene per lui e per i suoi sostenitori).

Se è no al governo di minoranza, per Bersani si apre la via delle elezioni anticipate il prima possibile, magari convocate da un presidente della Repubblica eletto in ultima istanza dal Pd a maggioranza bersaniana (questa prospettiva aiuta Bersani a impedire che alti notabili del Pd, soprattutto quelli aspiranti al Colle, inizino contro di lui la fronda finale).

A quel punto Bersani, nel breve periodo, può sperare di essere ancora il candidato del centrosinistra alle urne: le primarie non sono poi così lontane, i possibili concorrenti non sono pronti e/o non sono ancora (ri)usciti allo scoperto, una mossa in tal senso di Matteo Renzi – pensano i bersaniani – sarebbe letta come una pugnalata alle spalle e un gesto irresponsabile e, almeno finora, il sindaco di Firenze non ha mostrato doti da pugnalatore, anzi.

Questa ipotesi, però, non tiene in debito conto lo scenario cambiato, il coraggio (possibile) di Matteo Renzi e il suo consenso in crescita, visto l'esito complicato del recente voto e visto il suo comportamento leale in campagna elettorale. E' rischioso per Bersani e per i bersaniani scambiare la lealtà renziana in ritrosia alla sfida o in incapacità di cogliere l'attimo giusto.

Se per miracolo è "sì" al governo di minoranza, per Pier Luigi Bersani si aprono le porte di Palazzo Chigi. E non è poco, data la situazione.

Bersani e i bersaniani, invece, sanno che qualunque altra soluzione per il futuro governo passa per un definitivo accantonamento della leadership dell'attuale segretario.

Governissimo? La prima condizione sarebbe: non guidato da uno dei candidati principali alla recente contesa elettorale.

Governo dei tecnici? Bersani è un politico.

Proroga del governo Monti? Bersani non è Monti.

E più il tempo passa – di ricerca della soluzione in ricerca della soluzione – e più il potere di Bersani sul partito e sulla coalizione si logora e più i possibili concorrenti – cioè Renzi – si organizzano e crescono.

Insomma, può sembrare masochista, ma per Bersani l'unica strategia per sopravvivere politicamente e per rilanciare le proprie chance di arrivare alla guida del paese, seppur in qualche modo azzoppato, è andare a sbattere contro Grillo ma tenendo unita la base del partito e la coalizione con i "no" al dialogo con il Pdl, le istanze dure antiberlusconiane – il caso De Gregorio è perfetto alla bisogna – le idee di sinistra quasi radicale (conflitto d'interessi, coppie di fatto omossessuali, economia molto green) e ovviamente le aperture al Movimento 5 Stelle.

Ogni passo in un'altra direzione, sarebbe un passo indietro di Bersani e il segretario del Pd lo ha detto più volte: il 2013 è l'ultima volta che tocca a me. 

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