Cronaca semisegreta del rilancio (fallito) di Bersani

Potrebbe essere andata così. Il leader del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, a un certo punto, qualche giorno fa, si è accorto che stava maturando un accordo tra centrosinistra e centrodestra per il Quirinale, ma che lui non ne era l'artefice, bensì i protagonisti erano i soliti noti Silvio Berlusconi e Massimo D'Alema.

Quell'accordo che stava spuntando alle spalle di Bersani aveva come figura di candidato di sintesi il professor Giuliano Amato. Certo, qualcuno poteva avanzare il sospetto che D'Alema offrisse Amato all'abbraccio del Cav. giocando in realtà in proprio la partita per il Colle.

Bersani, accortosi della sua progressiva marginalizzazione dal gioco che conta, quello appunto per la presidenza, quello poi capace di dettare la linea anche per il futuro governo, ha rilanciato con Berlusconi: loro ti offrono Amato, io allora raddoppio con Marini.

Il problema, per Bersani, è stato che un simile rilancio ha smentito la pervicace ricerca di un dialogo con il Movimento 5 Stelle e contemporaneamente ha minato la tenuta della coalizione di centrosinistra (bell'alleato Nichi Vendola che incassa Laura Boldrini presidente della Camera e poi si sfila su Franco Marini al Quirinale, no?). Fino alla sconfitta nel segreto dell'urna.

Al Cavaliere, invece, non è parso vero di poter giocare gli avversari gli uni contro gli altri, anche se la quarta votazione, quella che potrebbe eleggere Romano Prodi, gli fa paura, un po' sì, gli fa paura. Comunque – pensa l'ex premier – male che mi vada farò una campagna elettorale termonucleare gridando all'occupazione di tutte le cariche istituzionali da parte della sinistra.

E ora? Mezzo Pd vorrebbe convergere su Stefano Rodotà, per tentare il dialogo con il Movimento 5 Stelle. Mezzo Pd vuole aspettare la quarta votazione per eleggere un proprio campione nazionale (appunto Prodi o magari anche D'Alema). Mezzo Pd resta convinto che comunque, per evitare le urne, sia meglio cercare una qualche intesa con Berlusconi. Sì, perché ormai nel Pd ci sono almeno tre metà, tante sono le divisioni.

Il vento, però, dice: Prodi al Quirinale alla quarta votazione, urne entro l'anno, al massimo l'anno prossimo con le Europee, con Matteo Renzi candidato premier del centrosinistra e il Pd retto da un patto a tre gruppi (renziani – giovani turchi (dalemiani) – popolari), sotto la guida di un Enrico Letta o di un Fabrizio Barca.