Ci sono due espressioni che in tempi di discussione parlamentare sulla Legge di stabilità ritornano spesso e volentieri. La prima è: "Si può cambiare la Finanziaria in Parlamento, ma 'a saldi di bilancio invariati'" e la seconda è "clausole di salvaguardia".
Le due espressioni sono ovviamente giuste e sacrosante dal punto di vista istituzionale e finanziario, ma la dicono lunga in termini di (non) politica economica e di (de)responsabilizzazione degli esecutivi, delle maggioranze e soprattutto dei partiti che decidono di sostenere un governo di larghe intese senza larghe intese.
Partiamo dalla prima. Ovviamente la Finanziaria può essere modificata in Parlamento ed è ruolo dei gruppi tentare di migliorarla e di apportare le correzioni ritenute importanti sia da un punto di vista di politica economica sia da un punto di vista del mandato politico ricevuto dagli elettori alle urne. Il problema però è che quando da esponenti di governo vengono inviti del tipo "la Finanziaria si può modificare, a patto che i saldi di bilancio restino invariati" sembra di essere di fronte a una dichiarazione di resa, come se l'esecutivo annunciasse ai quattro venti che NON ha una politica economica che ispira la sua azione, ma che è semplicemente e soltanto preoccupato del rispetto contabili di vincoli che si pone o che ci pone Bruxelles. Un po' poco. Un po' troppo rinunciatario, come atteggiamento, no? Vorremmo sapere che cosa è o no fondamentale, in termini di politica economica, per un governo in un determinato momento per il nostro paese, non soltanto che, com'è giusto, siano rispettati i vincoli di finanza pubblica.
La seconda espressione, "clausole di salvaguardia", è anche un (comodo ma pericoloso) metodo ed è ancora più scoraggiante dal punto di vista del rapporto tra i cittadini e la politica, dei governi come dei partiti. La clausola di salvaguardia, in sostanza, è una norma che sposta in avanti nel tempo un'azione di governo, come l'incremento di una tassa, nel caso in cui un'altra azione di governo, come un taglio della spesa, non vada a buon fine.
Il meccanismo è quello solito: rinviare al futuro il sacrificio di una scelta e la relativa onerosa responsabilità con costo politico correlato. Così è difficile che tra scelta ed effetto ci sia il vero e corretto vaglio del consenso (e/o dell'assunzione di responsabilità di fronte al Parlamento e all'elettorato).
Inoltre questo tipo di meccanismi automatici deresponsabilizza i governi proprio sulla via giusta per ottenere il primo scopo, la condizione senza la quale scatta l'aumento dell'imposta, ovvero per esempio la riduzione della spesa. Come abbiamo visto con il recente – automatico, dunque non si sa più da chi deciso e quando e perché – aumento dell'aliquota Iva.
Quando i governi e i partiti fisseranno punti cardini delle manovre, insostituibili anche a "saldi invariati", e obiettivi chiari e verificabili senza "clausole di salvaguardia", sarà più facile per gli elettori individuare e sanzionare le responsabilità dei loro rappresentanti nelle istituzioni. E senza trucchi magari anche un obiettivo non del tutto raggiunto sarà giudicato con minor severità in virtù della chiarezza e del coraggio dimostrati.
Sognando sempre il cancelliere dello Scacchiere che arriva alla Camera e deposita la valigetta con il budget, prendere o lasciare.