Ieri sera al concerto milanese di Vasco Rossi si è percepito ancora più del solito il suo ruolo sociale, il ruolo sociale di Vasco Rossi. Questa forse è la constatazione più banale e più vera che si può fare di fronte a uno stadio stracolmo che canta “Liberi liberi”. Non importa tanto che la esibizione del rocker di Zocca sia più melodica o più metallica, l’importante è che sia (socio)terapeutica. “La rivoluzione siete voi”, dice, anzi urla. Non propone un ribellismo salottiero né ideologico né tanto meno con finalità politiche; suggerisce una rivolta identitaria perfino intima, perché si può davvero cambiare soltanto se stessi. Incanala da più generazioni la rabbia nel rock e le poche parole che dice sono di incoraggiamento personale seppur collettivo. “Bisogna sempre tener duro”, “ce la farete tutti”, “in bocca al lupo a tutti voi”. Non è una chiamata alla rabbia, no, semmai in quel “voi” c’è un principio di distacco dalla folla, magari perché Vasco Rossi si sente già almeno in parte realizzato dal patto fatto “con le mie emozioni”, magari è altro, comunque il concerto è una chiamata a trasformare la rabbia o la stanchezza, perché “vivere non è facile”, in energica speranza. Almeno fino a quando, all’arrivo costante dell’ennesima alba chiara, in quattro parole puoi dire: “Io sono ancora qua”. Eh già, poi si vedrà.