Come la metti la metti, a Roma Matteo Salvini ha segnato un buon punto a suo favore e probabilmente ha posto la prima pietra nella costruzione di un “suo” nuovo centrodestra. Con l’operazione gazebo, seguita da una conferenza stampa in cui ha più volte ribadito lo spirito unitario della sua azione recente e l’intento ultra-unitario delle sue prossime mosse, Salvini ha in realtà giocato in contropiede rispetto all’attendismo strategico di Silvio Berlusconi; ha evidenziato le incertezze di Giorgia Meloni, che in fondo voleva fare (ma non ha fatto) ciò che è riuscito al leader leghista; ha rilanciato l’ipotesi Alfio Marchini, coprendosi anche al centro e portando lo stesso Marchini a un gazebo di Noi per Salvini; ha riproposto in chiave politica Irene Pivetti, dando infine un assist a Francesco Storace, con cui comunque per il mondo leghista è utile dialogare in vista di qualunque elezione a Roma e dintorni. Ha invece scontentato soltanto il protagonista più debole della vicenda, Guido Bertolaso, e appunto Silvio Berlusconi, e così facendo ora (ri)costringe tutto il centrodestra ex, post, neo a trattare di nuovo con lui e con lui in una posizione di forza.
Ora, non è ancora detto che il tutto finisca con le primarie capitoline del centrodestra, come chiede Salvini, ma intanto il leader della Lega ha posto (indirettamente) sul tavolo e al centro il tema della consultazione popolare come via di possibile rinascita del centrodestra. Oggi a Roma, domani magari ovunque. Non è cosa da poco, visto che finora nel mondo berlusconiano di primarie non si voleva nemmeno sentire parlare.
Dopo l’operazione gazebo romani, di primarie sono un po’ tutti obbligati (almeno) a parlarne. Certo, c’è stato un po’ di furbo tatticismo da parte di Salvini, visto che il leader leghista era presente all’incontro da cui uscì il nome di Bertolaso, salvo poi agire altrimenti. Ma al netto del riconosciuto tatticismo, che porta sempre con sé un’anticchia di incoerenza, il punto (strategico) è segnato. Adesso si vede se e come si va a capo.