Da quando Mattia Feltri, maestro e amico e pluridecorato spotornauta, mi disse un giorno passeggiando in largo Corsia dei Servi, a Milano: “Devi leggere ‘A sangue freddo’, il vero libro per provare a diventare giornalisti…” ho poi letto tutto ciò che di Truman Capote è stato pubblicato in Italia, tutto. Fino a “Dove comincia il mondo” (Garzanti), l’ultima recente raccolta di racconti inediti e scritti in gioventù del controverso ma sontuoso autore di “Colazione da Tiffany”.
Capote è il maestro di scrittura del ‘900, ma se quei racconti giovanili erano inediti c’era una ragione: l’autore non voleva pubblicarli. Ecco il vero diritto d’autore da preservare, quello di decidere che cosa pubblicare e che cosa no. Certo, per i “capotiani” della prima ora anche questo volume va letto, ma al di là delle ragioni storico-collezionistiche e nonostante il placet del trust creato dallo stesso Capote che governa la sua eredità, leggere questi testi fa un po’ soffrire.
Perché ci sono sì gli albori delle qualità straordinarie del Capote ritrattista a freddo, appunto, con l’empatia che nasce da chi legge e non da chi scrive (la grande dote di Truman), ma i racconti non sono racconti, i personaggi non sono ancora personaggi, Capote non è ancora Capote e per questo Capote non aveva mai pensato di pubblicare questi lavori del giovane Capote.
Si fatica perfino a tenere il filo, a cogliere il punto, a sentire il senso in e di questi bozzetti di poche pagine l’uno. Ci vuole una legge a tutela del vero diritto dell’autore, quello di pubblicare soltanto ciò che si vuole. Perché ciò che uno scrittore vuole pubblicare lo pubblica, il resto no. Semplice.