La lezione dell’Fdp e dei Lib-Dem applicata all’Italia e alla vocazione maggioritaria

In politica non c'è lavoro più difficile di quello del junior partner di una coalizione, ancora peggio se la coalizione è composta di due partiti.

Certo, è molto facile fare il partito minore in tempi di formazione delle liste e poi di campagna elettorale: il potere di ricatto politico sul partner principale si esercita bene quando il partito principale della coalizione, soprattutto se non parte favorito, ha tutto interesse a raccogliere quanti più compagni di viaggio possibile. Vedi quello che sta facendo il centrodestra berlusconiano in queste ore, vedi quello che aveva fatto in passato l'Unione di centrosinistra.

Però poi il ruolo di junior partner, almeno all'estero, diventa davvero difficile da svolgere. Vedi quello che sta succedendo ai liberaldemocratici tedeschi (nell'ultimo numero dell'Economist si documenta il tracollo dal 14,6 per cento dei voti alle ultime elezioni del 2009, miglior risultato di sempre, a meno del 5 per cento nei sondaggi di oggi), in coalizione con la "divoraalleati", Angela Merkel, e quello che sta accadendo al Lib-Dem britannici in coalizione con i Tory di David Cameron.

Perché per raccogliere più consensi del partito principale della coalizione converrebbe continuare a fare distinguo, ma continuando a fare distinguo però restando al governo si dà l'immagine di scarsa credibilità, di opportunismo, di vorrei ma non posso (rompere).

Se invece si sceglie la strada dell'alleato fedele, allora negli elettori l'identità del partito minore della coalizione, appetibile in tempi di campagna elettorale soprattutto per la raccolta del voto di opinione, incomincia a diluirsi, a svanire, e dunque inizia a circolare l'idea: "Beh, visto che l'alleato minore è così simile all'alleato maggiore, a questo punto tanto vale votare l'originale", tanto vale cadere nel ragionamento del voto utile.

La sensazione è che questo discorso valga anche in caso di grande coalizione, cioè quando l'alleato minore in tempi ordinari sarebbe il rivale, l'alternativa dell'alleato maggiore (vedi quello che è successo a Cdu e Spd dopo l'esperienza della Grosse Koalition). 

In sostanza l'alleato minore o è troppo riottoso, e dunque è un problema averlo, o è troppo fedele, e dunque il suo bacino elettorale si assottiglia. Il partito minore di una coalizione ha soprattutto oneri e poco onori, a meno che non risulti indigesto al suo alleato maggiore.

Tutto questo per dire che la vocazione maggioritaria, seppur difficile da coltivare e in apparenza controproducente dal punto di vista elettorale, nel medio/lungo periodo è una scelta saggia?

Qualche risposta potrebbe riguardare anche lo scenario nazionale e le prossime elezioni. Per esempio nel rapporto tra Pdl e Lega oppure nel rapporto tra Pd e Sel o infine nel dilemma tra lista unica o no per quanto riguarda lo schieramento montiano.