Dalla Domenica del Sole 24 Ore del 15 luglio 2012
Alla fine “The Newsroom” è arrivato. Per ora negli Stati Uniti. Poche ore dopo la messa in onda del secondo episodio la HBO ha annunciato di aver prenotato la seconda stagione. Alla faccia della moda critica. Perché in America è scattato il gioco del “sì, però”: soprattutto tra i giornalisti, visto che di giornalisti si parla, si porta bene parlare male del nuovo Sorkin. Forse vale il principio che il troppo stroppia. Aaron Sorkin però è sempre Aaron Sorkin: gli aromi giusti li dosa tutti. Un interrogativo iniziale e attuale: gli States sono (ancora) la più grande nazione del mondo? C’è la sottile distinzione tra americani e inglesi e quella meno sottile tra uomo e donna, tra destra e sinistra. C’è il gioco della seduzione tra ex e neo corteggiatori, la competizione tra colleghi, il logorio di mezza età, magari con il successo in fase pre-calante. Non manca l’espediente per dare ritmo: si parte e si finisce calmi, un passo dopo l’accelerazione data dalla diretta della trasmissione di news condotta da un rivisitato Jeff Daniels. Non mancano le battute da citazione, non tanto per l’ironia, quanto per lo spirito epico, pure troppo. Il rischio? Premere eccessivamente il tasto della retorica del giornalista senza opinioni, dispensare buonismo (vero MacKenzie McHale?), esagerare nell’idea che un cronista sia un missionario del vero senza idee né cuore. Il gioco di squadra stavolta, soprattutto rispetto a “The West Wing”, è più spostato sulla coppia: l’anchorman e la producer odiata perché amata (con i loro alter ego più giovani), sotto l’egida del capo saggio e simpatico con i capelli bianchi e il whisky pronto per festeggiare lo scoop o reprimere lo stress quando nella terza puntata arriva “la cattiva” Jane Fonda. Non male ripassare l’attualità, partendo dal petrolio nel Golfo del Messico, passando per le leggi sull’immigrazione e l’ascesa del Tea Party. Il segreto di Sorkin, più radical del solito, alla fine resta lo stesso e funziona: saper suonare il potere della parola per mettere in scena sentimenti e idee, altro che neutralità.