Obama in via Labicana, ovvero la fierezza da trovare per difendere (sempre) il libero mercato

Prendiamola dal punto di vista degli Stati Uniti d'America, così stiamo alla larga dalle solite polemiche italiane e così magari riusciamo a essere più freddi dopo la drammatica giornata romana. Prendiamola dal punto di vista degli Stati Uniti d'America, del resto là tutto inizia e spesso là tutto finisce. C'è una cosa che hanno in comune il Tea Party, a torto o ragione considerato la destra del partito repubblicano americano, e Occupy Wall Street, il movimento degli indignados che protesta contro i palazzi della finanza newyorkese: sono due movimenti arrabbiati con la finanza.

Sono arrabbiati perché pensano che non sia giusto usare gli strumenti delle politiche socialiste e dirigiste, cioè in sostanza i soldi pubblici, soltanto per salvare e arricchire le banche e i banchieri, e non anche e soprattutto per aiutare l'economia reale, dunque in primo luogo per far crescere l'occupazione. Il Tea Party poi risponde dicendo in sostanza: liberismo per tutti, mentre il movimento radicale americano risponde: socialismo per tutti.

Entrambi i movimenti però contestano la pretesa della finanza di governare il mondo e i singoli paesi. Sbaglia però chi crede che siano le regole del mercato a essere sbagliate e a provocare questa situazione. Dantescamente si potrebbe dire, infatti, che le leggi son ma chi pon man ad esse. Nel senso che il problema è la politica, cioè chi mette mano alle leggi. E' l'intreccio non regolato e trasparente tra finanza, economia e politica ad accantonare o esaltare, a seconda delle convenienze contingenti, le regole del mercato. E' la politica che, utilizzando la scusa che le leggi dei mercati sarebbero fallaci, ha deciso di aiutare con iniziative interventiste la finanza, senza considerare che salvando lo status quo del sistema finanziario, forse sarebbero diventate ancora più scarse le risorse da utilizzare per rilanciare l'economia reale.

Le regole del mercato, se applicate alla lettera, avrebbero previsto qualche fallimento in più e certamente molti bonus in meno – stiamo sempre parlando di America – per quanto riguarda gli istituti finanziari, ma dalla distruzione creativa lo stesso mercato sarebbe ripartito premiando i più capaci e riallocando le risorse migliori che si sarebbero salvate dalle bocciature naturali provocate dal sistema. Si sarebbero risparmiate molte risorse da utilizzare, se proprio delle politiche keynesiane non possiamo fare a meno, per il rilancio dell'economia reale.

Invece, l'Amministrazione Obama, con la fattiva collaborazione della Federal Reserve guidata da Ben Bernanke, ha utilizzato le regole delle politiche economiche interventiste soprattutto per salvare banche e grandi corporation – nulla di illegittimo, anzi, forse indispensabile, ma con prezzi da pagare, eccoli – e ora si ritrova davanti, sempre Obama, a un dato preoccupante della disoccupazione, a un dollaro indebolito e a elezioni a forte rischio di sconfitta, mentre la middle class si radicalizza nella protesta, a destra con il Tea Party, a sinistra con quella che Arianna Huffington definisce la Third World America, ovvero con un movimento di opinione che denuncia la progressiva scomparsa della classe media, come fosse un paese del Terzo mondo.

A volte l'errore delle classi dirigenti – dicono entrambi i movimenti americani – è quello di socializzare i bonus dei banchieri e privatizzare troppo i problemi dei cittadini. Il liberismo, invece, con le regole del mercato applicate alla lettera, garantirebbe molta più giustizia sociale di quanto non possa assicurare una politica dirigista applicata a tutto e tutti o un mezzo liberismo applicato soltanto alle fasce più deboli della popolazione. E' la storia a dirlo.

Questo errore di prognosi – siccome la finanza soffre, il liberismo va messo in crisi, ma soltanto per fornire liquidi alle banche, mentre il liberismo resta valido per tutto il resto, e poco importa (davvero?) se prima o poi tutta la liquidità e la moneta facile si trasformeranno in inflazione – questo errore di prognosi, si diceva, rischia di essere il marchio della sconfitta del sogno obamiano, anche a presidente rieletto per carenza di vere alternative.

Non si può essere liberisti soltanto per quanto riguarda gli altri, bisogna credere nelle leggi del mercato sempre e soprattutto partendo da noi. Questo andrebbe spiegato con fierezza alle piazze di tutto il mondo che protestano. Ma esiste oggi una leadership in grado di farlo?

  • Giuseppe Paolo Mazzarello |

    Alla domanda finale, non si può rispondere con un’altra domanda. Forse, dopo una seconda domanda. Esiste oggi chi chiede una leadership in grado di farlo? America in testa, tutte le Nazioni stanno sostituendo i loro abitanti con una immigrazione di portata mai vista. I cittadini di domani fanno, o faranno, nuove domande. I New Deals non furono tanto prodighi di norme quanto di buoni esempi. La natura, come sempre, fa il resto: lei, è sicuramente in grado.

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