In pochi mesi Roberto Maroni, ex ministro dell'Interno e segretario della Lega Nord, è riuscito a far tornare in salute il suo partito. Eppure l'impresa non era affatto semplice, sembrava un movimento, il suo, destinato a un lento ma inesorabile declino, tra scandali regionali che facevano passare di moda il federalismo e scandali interni che toglievano alla Lega la patente di partito duro e puro contro Roma ladrona.
Maroni, invece, è riuscito a far dimenticare la stagione delle beghe giudiziarie e paragiudiziarie dei leghisti, senza perdere troppi pezzi nel cammino del rinnovamento dei volti fatto a colpi di ramazze, anzi, convincendo Umberto Bossi ad assumere il ruolo che Silvio Berlusconi detesta, quello del padre nobile. Ha cambiato slogan, linguaggi, perfino la grafica, senza per questo aver dato l'impressione che la Lega in versione Csu sia soltanto una lontana parente della Lega in canottiera. Ha organizzato degli stati generali del Nord con tanto di ministro Corrado Passera, segretario della Cisl Raffaele Bonanni e presidente di Confindustria Giorgio Squinzi come ospiti. Ha coinvolto i propri elettori con una sorta di elezioni primarie, parecchio bulgare per la verità, ma sempre di gazebo si è trattato, per candidarsi alla presidenza della Regione Lombardia, attirando lo stesso Berlusconi a sostegno della sua candidatura. Ha recuperato Giulio Tremonti e un suo nascente movimento in un'alleanza con la Lega postbossiana, nonostante l'ex ministro dell'Economia abbia un rapporto personale molto migliore con il Senatur piuttosto che con l'ex ministro dell'Interno.
Intanto la Lega governa già Piemonte e Veneto, senza alcuna scossa, anche dopo aver sfiduciato la giunta Formigoni, altro fatto di cui Maroni conta di menar vanto in campagna elettorale. Sempre la Lega ha inventato il modello delle liste civiche sorelle del movimento principale, grazie alla vittoria di Flavio Tosi a Verona. Lo stesso Tosi, maroniano doc, sta crescendo a livello nazionale come possibile successore alla guida del partito del Nord, nel caso il segretario diventasse presidente della Lombardia e lasciasse l'incarico nel movimento, o addirittura come candidato premier nel caso la Lega decidesse di andare davvero da sola alle politiche, come auspicano in molti nel partito, per esempio il governatore del Veneto Luca Zaia e il segretario lombardo Matteo Salvini. E, appunto, dulcis in fundo, Maroni è ora in corsa per governare anche la Lombardia.
Certo, la Lega ha tatticamente (ri)tifato Berlusconi, dandogli l'illusione che sarebbe potuto tornare facilmente leader della coalizione, finché Berlusconi ha fatto cadere il governo Monti, cui peraltro i leghisti si sono opposti fin dall'inizio, unico partito in Parlamento, visto che l'Idv votò la prima fiducia all'esecutivo tecnico. Anche di questo, il "no" a Monti appunto, i leghisti possono ora vantarsi nei confronti del Pdl e dei suoi elettori con la mitica frase: "Visto, ve l'avevamo detto…".
Adesso, con la sua ridiscesa in campo, Berlusconi, che oltre a Mario Monti sembra aver sottovalutato anche lo stesso Maroni, rischia di riuscire nell'impresa di trasformare la nuova Forza Italia in una sorta di junior partner nell'alleanza con la Lega Nord. Perché è il movimento padano, ora, ad avere in mano tutte le carte del ricatto o, se si vuole dire più elegantemente, del negoziato elettorale. Come le dichiarazioni di Maroni fanno intendere – alt a Berlusconi candidato premier – la Lega può trattare nel centrodestra da posizione di forza, sebbene sia elettoralmente ancora meno rappresentativa del Pdl, e forse anche dei due partiti, nuova Forza Italia e nuova An, che dalle ceneri del Popolo della libertà potrebbero rinascere.
La Lega infatti può ottenere quasi tutto quello che vuole in cambio di un sofferto, tatticamente molto sofferto sì alla leadership berlusconiana del centrodestra. O, anzi, può addirittura indurre un cambiamento alla testa del centrodestra, pretendendo in cambio della rinnovata alleanza che sia Angelino Alfano, con cui peraltro Maroni ha da sempre un buon rapporto, e non Silvio Berlusconi a guidare il nuovo patto elettorale. Alla Lega conviene un Alfano candidato premier per poter dire intanto che, grazie a Maroni, anche il Pdl si è rinnovato, e poi per poter meglio influenzare il capo del Pdl o comunque del partito a diffusione nazionale del centrodestra, perché è indubbio che Alfano ha ancora ben più di un quid in meno di Berlusconi, almeno dal punto di vista delle risorse non soltanto politiche.
L'obiettivo strategico di Maroni è, oltre a vincere in Lombardia, far diventare la Lega il primo partito del Nord, la sua capacità tattica è ancora una volta dimostrata dalle mosse di questi ultimi mesi. Vedremo il resto.