Narrazione, format, storytelling. Questi termini – il primo è un po' vendoliano, il secondo più renziano, il terzo più internazional-presuntuoso – sono sempre più importanti in campagna elettorale. Nella politica di oggi, nella società dei social media e della social tv soprattutto, bisogna sapere raccontare una storia e bisogna fare in modo che quella storia entri nei palinsesti personali di un numero sempre maggiore di persone da coinvolgere, con i "I like" su Facebook, il video visto su YouTube e le battute o le note su Twitter.
I leader che vincono, gli esponenti che sanno emergere e i movimenti che hanno successo sono quelli che non sono soltanto una mera fotografia di qualcosa, la semplice rappresentazione di qualcuno o di qualche interesse e/o progetto, sono quelli che sanno essere la trama di un racconto, di una serie televisiva, di un film in tempo reale e in presa diretta fatto di immagini e parole e alla fine voti nelle urne.
Ovviamente il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, in tutto e per tutto, è il commander in chief, il comandante in capo, di questa particolare, forma di politica contemporanea, mentre il suo rivale repubblicano alle recenti elezioni, Mitt Romney, è stato invece l'esatto opposto e infatti ha perso.
Ma tornando qui da noi possiamo dire che gli esempi non mancano. Silvio Berlusconi, nel bene e nel male, è il protagonista di un film fin da prima di entrare in politica. Tutto sta a decidere di che genere di film, a secondo dei gusti, sia il protagonista. La saga padana di Umberto Bossi ha riempito per anni palcoscenici diversi, perfino grandi prati come a Pontida, con simboli e personaggi tutti particolari, con colori predominanti e oggetti di culto in negativo e in positivo.
Nel centrosinistra ci ha certamente provato Walter Veltroni, che di cinema se ne intende, e ancora oggi il Lingotto è ricordato come il set di una scena madre di una storia politica. Romano Prodi ha fatto e fa un po' eccezione, da questo punto di vista, però sono stati i suoi nemici interni e le loro trame a renderlo non soltanto un premier credibile ma anche il personaggio di una storia, di un viaggio, come quello in pullman della sua prima campagna elettorale.
Passando poi alla più stringente attualità. E' certo che anche il professore universitario con il parlare robotico, la flemma dottorale (e padana) e lo sguardo deciso non è certo immune dall'assumere, magari a volte anche controvoglia, i panni di un protagonista di una storia da raccontare (vedi l'imitazione di Neri Marcorè). "Commuoviti ma correggimi" è una scena da Blob e non è l'unica. Anche il suo "volere ma non volere" è un refrain letterario, come il loden (anche se indossa quasi sempre un giubbotto blu), la colazione con la figlia, il nipotino che a scuola lo chiamano "Spread", insomma il personaggio di Mario Monti c'è anche quando non c'è.
Pure Matteo Renzi – per lui i suoi avversari interni hanno spesso parlato di "format" in proposito – ha scritto una bella sceneggiatura con tanto di commozione finale. E ora tiene appesi i suoi sostenitori all'attesa del sequel: "Il futuro ci raggiungerà presto". Pier Luigi Bersani invece è pù debole nello "storytelling" (pardon), in questo assomiglia a Prodi (e per lui potrebbe essere di buon auspicio, almeno alle elezioni) ed è più debole anche rispetto a Nichi Vendola: "Oppure Vendola" è un titolo per certi versi perfetto. Però con la pompa di benzina del padre, il sigaro e una comparsata molto, molto personale a Porta a Porta, anche Bersani ha tentato di abbozzare pagine di un racconto, anche se in genere sembra puntare più sulla narrazione del suo partito che non sulla sua (e di questo ha fatto un suo punto di forza).
E dall'altra parte? Intanto le altre parti sono almeno due. Il centro fatica a raccontare una storia perché è in attesa di conoscere il cast degli attori e i ritratti dei personaggi principali. Questo è sicuramente un elemento di debolezza, pagato dalle forze di centro anche nei sondaggi. Nel centrodestra invece è tutto un andirivieni dentro e fuori la scena, davanti e dietro le quinte. Ci sono alcuni film già visti: il nome "Centrodestra nazionale", ipotizzato da Ignazio La Russa, e la bozza di simbolo circolata ricordano molto da vicino "Alleanza nazionale", per esempio.
Dunque in genere il "plot" (di nuovo pardon), il soggetto, risulta quantomeno un po' confuso al momento. Berlusconi fa Berlusconi, tra Maroni e Monti, ed è subito televisione. Solo che oggi la televisione è in evoluzione e non è più sola. La Lega è più riflessiva che narrativa in questa fase. E poi? Prendiamo domenica scorsa. C'erano due anime di centrodestra in scena, quella popolar-montiana del Teatro Olimpico, con Gianni Alemanno, Roberto Formigoni, Angelino Alfano, e quella liberal-nazional-movimentista di Giorgia Meloni e Guido Crosetto all'Auditorium.
Ecco, viste a posteriori e giudicate da articoli, video, immagini, le due manifestazioni avevano due impronte opposte. La prima era un serio appuntamento di partito, una fotografia di una forza consistente, tranquilla, razionale, poco appassionata ma scafata. Però pur sempre una fotografia, un'immagine statica. La seconda, con il titolo "Primarie delle idee", era una scombiccherata messa in scena, ma di una storia da raccontare, con le urla dal pubblico, lo slogan chiaro e dotato di hashtag, "#senzapaura", i soprannomi dei protagonisti già diffusi in rete – "il gigante e la bambina" -, i sorrisi, l'immagine simbolo bella pronta con Crosetto che prende benignanamente in braccio Meloni, e poi i riferimenti sui giornali a Fiona e Shrek, a "Noi cattivissimi". Tutto cose che possono far sorridere, anzi fanno certamente sorridere, ma sono naturali ed efficaci ingredienti di una narrazione, di una storia da raccontare.
Ed è appunto importante avere una storia da raccontare. Lo sa bene anche Fermare il declino (Crosetto ha citato anche questo movimento nel suo intervento all'Auditorium). E infatti Fermare il declino è guidato da un giornalista, Oscar Giannino, che da mesi racconta su Radio 24 le vicende di imprese che resistono, una storia fatta di storie. Fermare il declino nasce da un testo scritto, dieci punti, un programma e uno spartito (Giannino è un cultore anche di musica), con cinque, sei personaggi, professori outsider, che si mettono assieme sulla base di un manifesto e poi il tutto cresce fino a diventare una forza che supera i 40 mila aderenti, con la rete e l'immagine pubblica, il look, l'oratoria e la competenza sui temi economici di Giannino e dei prof.
Al di là delle opinioni politiche, anche in politica, quando stai raccontando una storia, sei a metà dell'opera, perché l'informazione e la comunicazione e la rete ti seguono, ti devono seguire, per continuare a raccontarla.
Poi infine c'è Marco Pannella, ecco, ed è Marco Pannella, il corpo che diventa storia anche teatrale di lotte politiche.