Berlusconi di lotta e di governo, atto II

“Personalmente, e sia pure con rispetto per l’Esecutivo, devo purtroppo esprimere delusione sia sul lavoro sia sull’Iva rispetto agli annunci odierni del Governo”, dice il presidente della commissione Finanze della Camera, Daniele Capezzone.

“Siamo perfettamente d’accordo con l’Unione europea: vogliamo vedere le coperture relative ai provvedimenti varati oggi dal Consiglio dei ministri. Così come vogliamo vedere il testo del decreto”, dice il capogruppo del Pdl alla Camera, Renato Brunetta, aggiungendo di voler vedere “soprattutto le norme sul mercato del lavoro, visto che su questi temi la ‘cabina di regia’ governo-maggioranza, voluta dal presidente Letta, non è mai stata convocata. Né dal ministro Giovannini né dal ministro Saccomanni”.

Al di là del merito – la dichiarazione di Capezzone sarà simile a quella di molti osservatori in queste ore – queste frasi sembrano di due esponenti dell’opposizione e invece sono di due prominenti membri della maggioranza di governo, anzi del secondo partito della coalizione, il Pdl.
Certo perché mentre Silvio Berlusconi rassicura a suo modo il Quirinale sulla tenuta dell’esecutivo il Popolo della libertà compie un anno da partito di lotta e di governo.
Prima, con il governo dei tecnici, la tattica veniva meglio, era più facile, insomma non c’era il segretario del partito con l’incarico di vicepremier come ora, ma la sostanza era la stessa.
Il Pdl appoggiava e appoggia ora l’esecutivo ma con dichiarazioni poi di partito di lotta. Il Pdl sta diventando dei governi di larghe intese quel che la Lega nord è sempre stata delle maggioranze di centrodestra: il compagno di governo che però, contando un po’ meno, sta anche all’opposizione a parole e quando fa comodo. Pensando sempre alle elezioni.
Si sta in maggioranza, si vota più o meno disciplinatamente, ma si critica e si sprona come si fosse all’opposizione, sempre pronti a raccogliere alle urne il frutto della tutto sommato comoda posizione di partito di lotta e di governo.
Il problema è che questo ruolo si addice di solito a junior partner delle coalizioni – non a caso la tentazione del comportarsi quanto meno da appoggio esterno viene coltivata anche e forse soprattutto nelle file del senatore Mario Monti, che peraltro avrebbe ancora più carte per incalzare il governo – e soprattutto è una tattica già vista e usata: minacce e ipotesi di successioni (la figlia Marina ora, il delfino Angelino Alfano prima), nuovi eserciti di Silvio, falchi contro colombe, idee di un ritorno a Forza Italia, magari 2.0, Berlusconi sempre a un passo tra la moderazione del leader responsabile e la piazza del capopopolo che si sente vittima e braccato dai rivali, soprattutto dai magistrati.
Tattica che, se non vince, almeno non perde non si cambia? Questo sembra il pensiero di Silvio Berlusconi. L’altra volta però l’orizzonte temporale era fissato dalla scadenza elettorale, così Berlusconi ha potuto togliere la fiducia al governo in tempo per fare la campagna elettorale dall’opposizione. Oggi invece dovrebbe proprio decidere lui quando dire basta all’esecutivo guidato da Enrico Letta. Bella scommessa dunque per il Cav.
La sensazione è che il desiderio di Berlusconi sia per un ritorno il prima possibile alle urne, mentre la testa però gli suggerisce che non ci sono le condizioni per rendere realizzabile ora il suo desiderio.
Nel frattempo, il Pdl continuerà a comportarsi avendo come linea il desiderio tattico berlusconiano di lotta e come unico limite il suggerimento pragmatico berlusconiano di governo. Fino a quando? Davvero dipende dal governo: un esecutivo del fare tanto è molto difficile che sia sfiduciato di punto in bianco per ragioni tattiche, un esecutivo che invece preferisce lavorare di cacciavite e ritocchi e rinvii e passi felpati è molto vulnerabile di fronte ai morsi della crisi e al cinismo della tattica politica (e giudiziaria).
Il problema per Berlusconi – oltre al fatto che la tattica del Pdl possa sembrare un deja vu – è che ogni giorno che passa il Pd costruisce un pezzettino in più del suo futuro anche elettorale con Matteo Renzi e lavora a possibili maggioranze alternative all’attuale, contando i fuorusciti grillini in aumento, anche e proprio per rafforzare l’attuale maggioranza.
Quindi? Il copione è scritto, tende a ripetersi, la sorpresa incombe. Il governo farebbe bene a governare e riformare senza badare troppo a uno stato di cose che non può non essere così ed è prevedibile proprio nel suo copione che si ripete con tanto di sorpresa incombente.