“Meglio il default subito”. Aveva ragione Issing?

E se alla fine avesse avuto
ragione Otmar Issing, ex capo economista della Bundesbank e della Banca
centrale europea, quando sul Sole 24 Ore dell’11 febbraio disse: “La verità è che aiutando la Grecia l'Europa entrerebbe in
negoziato permanente e difficile con Atene sul futuro della sua politica
economica, rendendo l'idea di Europa sempre più impopolare, specie in quegli
stati membri che saranno costretti ad aumentare le tasse per pagare gli aiuti”
?
In sostanza: la Grecia andava fatta andare in default subito. Così la
speculazione non avrebbe potuto scommettere sulla debolezza di una politica
incapace di imporre riforme a Bruxelles come a Berlino come ad Atene. I mercati
avrebbero subito tensioni per meno tempo e avrebbero apprezzato il rapido
decisionismo di leadership consapevoli dei propri limiti legati alla ricerca
del consenso. La regola dell'azzardo morale sarebbe stata rispettata e i
mercati avrebbero recepito quale certa soluzione si profila per chi non
rispetta le regole e non tiene in ordine i conti. Ora invece i mercati, di
fronte a negoziati permanenti e a vertici o decisioni europee che affidano la
loro sorte alla data delle elezioni qui e là nel Vecchio continente, iniziano a
fidarsi sempre meno e nei confronti di sempre più paesi, da qui il rialzo dei
tassi delle aste dei debiti pubblici e il pessimismo delle Borse. L’indecisione
tra salvataggio e default ha già prodotto effetti negativi e rischia di
produrne ancora. Con il default e una sorta di amministrazione controllata, i
creditori della Grecia, dalle banche agli stati, avrebbero avuto la certezza di
rivedere almeno una parte dei loro soldi, sebbene con un debito greco
ristrutturato. Atene sarebbe stata costretta ad avviare un processo di riforme
utile non solo a ripianare i debiti pregressi ma a non eccedere nei debiti
futuri. La leadership greca avrebbe potuto meglio spiegare le riforme ai suoi
elettori, dando “la colpa”, che poi è in realtà “un merito”, al Fondo monetario
internazionale o all’Unione europea, a seconda di chi si fosse preso in carico
il ruolo di giudice fallimentare che controlla il commissario straordinario
greco. L'euro avrebbe dimostrato la sua forza rispettando le regole che si è
dato finora. E i paesi europei singolarmente o collettivamente avrebbero poi potuto
aiutare con accordi bilaterali la Grecia, magari come fosse un’area depressa
dell'Europa in cui sono concesse alcune forme di aiuto di stato o di stati.
Tutto ciò finora non è stato fatto. Così è facile per noi fare la storia con i
se e per David Marsh, chairman di SCCO International e autore di “The Euro –
The Politics of the New Global Currency”, criticare sul Financial Times lo stesso Issing riportando
due sue frasi. Nel 2006 Issing aveva detto che l’unione monetaria “può
funzionare e sopravvivere” anche senza una completa unione politica. Mentre oggi
lo stesso Issing dice che “negli anni 90 molti economisti – e io ero tra questi
– avevano avvertito che avviare l’unione monetaria senza aver stabilito
un’unione politica significava mettere il carro davanti ai buoi”. Forse il
problema sta tutto qui. Delle due l’una: o è forte l’unione politica che decide,
e allora le ferree regole dell’unione monetaria possono diventare meno ferree
senza mettere a rischio l’euro, o meglio preservare la forza dell’unione
monetaria sperando che presto si rafforzi anche quella politica.

  • strumenti musicali chitarra |

    era meglio la lira

  • Filippo |

    Tutti fuori dall’euro, questa e’ la soluzione……….WW la lira

  • Max |

    Si.

  • Vanishing Leprechaun |

    Vedo che alcuni commenti si fanno delle domande, e non si allineano al gregge delle pecore di Panurge condotte dal pastore Issing alla prossima stazione di abbattimento. Meno male, anche se non basta.
    Se la Grecia fosse andata in default subito, le banche di Issing (le “sue” banche tedesche) avrebbero avuto una minusvalenza patrimoniale, una perdita secca anche di cassa, di liquidità, pari al 70% dei crediti greci pubblici e privati in loro possesso. Così, oltre a dover salvare (una cosa proibita!) anche il Portogallo e chissà cosa altro, avremmo dovuto salvare anche le banche tedesche e quelle francesi (salvare le Banche, però, non sembrerebbe così proibito). E chissà cosa altro ancora.
    Dunque a Issing spetta a tutto titolo quell’aggettivo di cinque lettere che comincia con “f”, termina con “o”, e contiene due esse all’interno. In un ipotetico cruciverba la definizione suonerebbe “dicesi di una campana crepata”.
    Salvo pensare che le banche tedesche, un attimo prima, avrebbero potuto mollare la patata bollente al gonzo di turno. Cosa peraltro difficile dato che le banche – giustamente, si conoscono molto bene – non si fidano l’una dell’altra.
    A chi ancora sostiene che le responsabilità siano solo della Grecia (la quale ne ha certamente, e nella persona del governo Karamanlis), consiglio la lettura di questo articolo di Flassbeck, ex ministro delle finanze tedesco. Come dire che non importa poi molto la nazionalità …
    http://documentazione.altervista.org/le_monde_Flassbeck_Grecia_UME.htm
    Ci sarebbe da leggere anche un’intervista a Fitoussi (francese, questa volta, sempre per ribadire che la nazionalità non c’entra nulla) rilasciata al Messaggero del 7 giugno 2009. Purtroppo non è più on-line, e mi limito quindi qui ad alcuni stralci, non permettendo questo blog l’upload di file.
    “PARIGI – Tornare ad una politica di rigore? «Una follia» commenta Jean-Paul Fitoussi. L’economista francese si dice «costernato» da quello che definisce «il dogmatismo religioso» dell’Europa in materia economica e sociale.” … “Un piano di rigore adesso, significa rinunciare per sempre a tornare ai livelli di un anno fa. Quello di cui l’Europa ha bisogno è al contrario di un vero piano di rilancio. Che questa volta sia coordinato tra i vari stati. Che si parli di politiche di equilibrio di bilancio o di lotta ad un’inflazione che non esiste mi sorprende e mi preoccupa. Quello che stiamo attraversando non è un periodo di recessione, ma di vera e propria depressione”.
    E’ facile controllare l’inflazione e tenerla bassa: basta comprimere i salari. E’ quello che si è costantemente fatto grazie al “patto di stabilità” e al mandato invariabile alla BCE. Dato che questo comprime la domanda, chi può compensa con l’export, vedi Germania, favorito magari dalla crescita di produttività alla quale non corrisponde un aumento dei costi. Dato che il Mercato europeo a 27 è di fatto chiuso (3% di import-export), questo significa fare concorrenza ai vicini, soprattutto a quelli deboli.
    Questa è l’Europa nella quale ogni paese è lupo all’altro.

  • tasker |

    L’ errore a mio parere, come è stato per l’ Argentina, è l’ adozione di una moneta forte da parte di un’ economia debole.
    Occorrerebbe studiare meccanismi pratici, magari un periodo di circolazione parallela delle monete, per permettere ad un paese in crisi (e forse toccherà anche a noi) di riappropriarsi della sua politica monetaria.
    Non piangano le cassandre ipereuropeiste: Inghilterra e Danimarca, per citare le prime che mi tornano alla memoria, non hanno adottato l’ euro.

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