La lettera della Bce, quella all’Ue e il giorno più lungo del governo Berlusconi

E' finito così il giorno più lungo del governo Berlusconi:

Ore 22 e 26 – Il Consiglio dei ministri ha approvato un emendamento alla legge di stabilità. È quanto si apprende da fonti di governo. (Ansa)

E' andato (più o meno) così il giorno più lungo del governo Berlusconi:
Umberto Bossi dice che il decreto anti crisi del governo conterrà le misure previste dalla lettera all'Unione europea. Il leader della Lega calibra bene le parole e non dice "le misure previste dalla lettera della Bce". Primo, perché così sottolinea l'autonomia del governo. E in fondo è comprensibile.

Anche il ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, da sempre considerato molto vicino alla Lega, non accetterebbe mai l'idea di varare un decreto "con i provvedimenti richiesti dalla Bce" guidata prima da Jean-Claude Trichet e ora da Mario Draghi.

Il secondo motivo per cui Bossi calibra bene le parole – "le misure della lettera all'Ue" – è che lo stesso Senatur aveva definito l'altra lettera, quella della Bce, una "fucilata" a Berlusconi, pensata più a Roma che a Bruxelles o a Francoforte.

Per la Lega il problema insormontabile, visto soprattutto il suo elettorato, è quello delle pensioni. Ma nella maggioranza si fa sempre più strada l'idea, urgente, che qualcosa di forte anche in quel senso vada fatto, senza toccare i diritti acquisiti da chi è già in pensione, ma qualcosa va cambiato – pensano – per chi è più distante dall'età buona per la fine del lavoro.

In realtà, infatti, pare che gran parte del governo, tra decreto legge anti crisi (per ora solo annunciato), maxi emendamento alla legge di stabilità ed eventuale decreto sviluppo voglia avvicinarsi sempre più al contenuto della lettera della Banca centrale europea, seguendo il consiglio al centro dell'appello finale rivolto dal direttore del Foglio, Giuliano Ferrara, al presidente Berlusconi.

No alla patrimoniale (dice il sottosegretario all'Economia, Luigi Casero), mai presa in considerazione l'idea di un prelievo forzoso sui conti (confermano fonti del governo) – l'ipotesi, dicono, è stata fatta circolare da una delle due correnti di pensiero presenti anche nella maggioranza, quella più propensa all'utilizzo degli strumenti fiscali per reperire le risorse – ma misure urgenti e provvedimenti straordinari sì. Staremo a vedere.

Ovviamente le riforme che riguardano più da vicino il mondo del lavoro dovranno avere qualche passaggio negoziale in più, dunque è probabile che vengano inserite in un disegno di legge.

Intanto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, come preannunciato dalla nota del Quirinale di martedì sera, ha avviato una forma di consultazione informale, si potrebbe definire di "vigilanza attiva" e di emergenza, per verificare le condizioni di un largo consenso per i provvedimenti necessari a favorire la crescita, rassicurare i mercati e ottenere il pieno supporto europeo.

Nel centrosinistra si tende a interpretare questo giro di consultazioni come propedeutico alla nascita di una nuova maggioranza, visti i numeri sempre più risicati del centrodestra alla Camera. Non è affatto escluso che la maggioranza, per convertire il decreto o i provvedimenti d'urgenza in legge, debba prima o poi aver bisogno dei voti di forze politiche che oggi non sostengono il governo. Anche perché dal Quirinale è giunto (e ripetuto nel corso del tempo) un invito al largo consenso in Parlamento. In un periodo di incertezza europea e di feroce volatilità sui mercati, servono infatti in Parlamento numeri da garantire il rispetto degli impegni e i tempi dei provvedimenti d'urgenza. A quel punto, però, cioè con provvedimenti approvati soltanto grazie al voto di forze che oggi non fanno parte della maggioranza, un cambio di scenario politico sarebbe nei fatti.

Nel Pdl, dunque, si preferisce descrivere il ruolo del Quirinale come teso unicamente a favorire il dialogo tra tutte le forze politiche in una fase particolarmente delicata.

Sia come sia, l'obiettivo fondamentale per il paese è arrivare al G20 con provvedimenti, almeno in parte, diventati già fatti e non soltanto annunciati. Ne va del prestigio dell'Italia ed è indispensabile per tentare di placare i mercati che reclamano certezze in materia di riforme.

La situazione economico-finanziaria è molto difficile a livello globale ed europeo. Ci sono aspetti perfino drammatici. Ma come disse Rahm Emanuel, consigliere di Obama, non si può sprecare una crisi come questa. Alla fine, con un po' di cinismo, si potrebbe perfino avere un'ulteriore prova della bontà del mercato: avrebbe costretto l'Italia a fare le riforme, quelle riforme di cui, crisi o non crisi, il nostro paese ha bisogno per ritornare a crescere.

Dubbi e considerazioni al termine del giorno più lungo del governo:
Basterà un maxi emendamento ai mercati? E al G20?

Ci sarà un decreto? Ci sarà un disegno di legge?

La giornata è stata tesa, politicamente a tratti perfino drammatica, l'esito però è ancora una volta interlocutorio. A voler essere non troppo severi.