Perché Casini dice: o un governo anche con il Pd o nulla

Il programma del prossimo governo, qualunque esso sia, attuale compreso, non sarà certo molto popolare, nel senso della capacità di raccogliere il consenso nell'opinione pubblica. Diciamo che, se il governo sarà (più) politico, il programma sarà la lettera inviata da Silvio Berlusconi all'Ue: troppo difficile sostenere infatti (politicamente) una profonda riforma delle pensioni, una drastica riduzione delle spese per i dipendenti pubblici, una vera revisione del mercato del lavoro, con ampia flessibilità in entrata ma anche in uscita.

Se il governo sarà invece (più) tecnico, per esempio un governo Monti, allora il programma sarà la lettera inviata dalla Banca centrale europea al governo italiano.

In entrambi i casi, fare ciò che si deve per restare in Europa da grandi e per rassicurare i mercati non è ovviamente un buon modo per risultare simpatici all'elettorato. Si sa, le riforme in Italia non sono mai ben accette, anche quando imposte da vincoli esterni. Quindi, quando alcune riforme sono proprio indispensabili, i partiti ripropongono l'idea del governo tecnino.

Tutte queste considerazioni spiegano la presa di posizione di oggi del leader dell'Udc, Pierferdinando Casini: serve un governo appoggiato anche dal Pd. Le ragioni che giustificano questa dichiarazione sono almeno tre. Forse quattro.

La prima: la situazione è critica e le riforme sono necessarie, urgenti e profonde, dunque serve un largo, molto largo consenso in Parlamento. E' questo, inoltre, l'auspicio del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

La seconda: riforme impopolari significa rischiare di perdere le prossime elezioni? Con tutti i partiti dentro alla coalizione, per il governo di unità nazionale, con dentro perfino la forza politica che dovrebbe garantire un buon rapporto anche con il principale sindacato, la Cgil, almeno alle prossime elezioni si parte tutti dallo stesso punto di partenza.

La terza: appoggiando un governo di centro-centrodestra, non guidato da lui, Casini rischia di favorire – dovesse il governo andare bene e la situazione migliorare – il rafforzamento di un leader, magari del Pdl, buono per guidare la coalizione alle prossime elezioni. Mentre oggi il leader in pole position per guidare un'alleanza politico-elettorale di centro-centrodestra è proprio Casini.

La quarta ragione è in realtà un sospetto che circola: fatti due calcoli, Casini preferisce alla fine andare alle urne, evitare il referendum elettorale filomaggioritario e capitalizzare da subito alle urne la coerenza che può vantare di fronte a un elettorato che sembra avergli dato ragione, qualche anno dopo, nella disaffezione nei confronti del berlusconismo.

Se esistesse un borsino della crisi politica, si potrebbe dunque dire che oggi, in caso di caduta del governo Berlusconi, il voto anticipato sembra la prospettiva più probabile. Ma la minaccia delle urne prima di una crisi di governo è sempre più forte dell'ipotesi del voto anticipato subito dopo l'eventuale sfiducia.

  • andrea |

    Ho 33 anni e la riforma delle pensioni è indispensabile per garantire una pensione anche ai giovani. So stanco di una generazione di anziani egoista che pensa solo a se stessa.

  • caio |

    e ma che @@ con sta storia delle pensioni …..con 200 Miliardi annui di evasione si cerca di recuperarne 4-5 dalle pensioni ….ma che vadano a lavorare davvero prima di parlare di pensioni….

  • stufo2 |

    qualcuno alla BCE o al FMi ha considerato che la “flessibilità in uscita” rende subprime i mutui anche in italia? ha considerato che le banche per coprirsi da questa eventualità ristringeranno l’accesso ai mutui ed aumenteranno il loro costo, scaricando un ammontare aggiuntivo sui mutui, divenuti meno sicuri? ed hanno considerato che questo diventa un enorme salasso aggiuntivo sui bassi redditi? in particolare dove hanno studiato economia questi signori, ad una scuola per corrispondenza?

  • gmmarco |

    tutto molto ragionevole,ma mancano le basi per la valutazione, se non ci si dice come si intende affrontare il nodo degli impegni con la UE. perchè i vari punti possono essere affrontati con misure assai diverse, nella forma e nella sostanza, e il dibattito politico non sembra che abbia affrontato il problema. supposto che si possa dare per scontato che è possibile avere una larga convergenza sulla necessità di rispettare gli impegni , su singoli aspetti non secondari (art.18 ?)potrebbe saltare tutto. è quindi giusto che si parta da un accordo di programma, che vada però oltre i singoli aspetti della manovra, con una esplicita presa di posizione nei confronti delle austere politiche di stabilità degli organismi comunitari,e questi auspicabili accordi devono essere chiari e certi, da subito,non solo alle parti politiche,ma anche alla pubblica opinione,ed a chi volesse accollarsi l’onere di assumere la guida di un futuro governo.

  • Carlo |

    Possibile che l’unica ricetta che tutti sono pronti a proporre sia la riforma delle pensioni, ovvero impedire a chi ha versato contributi per 40 anni di smettere di lavorare? Ma a nessuno viene in mente che in ogni caso la pensione verrà erogata da 12 a 15 mesi dopo i 40 anni di contribuzione (fino al 2014, poi saranno presumibilmente di più)? E chi ha iniziato a lavorare a 14 anni (una volta si poteva, anche se i contributi partivano dal rilascio del libretto di lavoro, cioè dal compimento del 15° anno), magari studiando di sera per diplomarsi, quanti anni dovrebbe lavorare? Che poi una riforma sia necessaria (leggi scalone) è un altro discorso, ma ci sono mille argomenti più importanti da affrontare e risolvere prima.

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