L’Italia dei Donadi

Nei giorni caldi di agosto si possono anche affrontare riflessioni più leggere e meno centrali per le magnifiche sorti e progressive della politica italiana, per esempio il futuro dell'Italia dei valori.

Pare che il partito di Antonio Di Pietro viva un travaglio esiziale. E' superato in populismo da Beppe Grillo e il suo movimento. E' tagliato fuori dalla coalizione dei progressisti perché il Partito democratico non gli perdona gli attacchi al Quirinale. Non ha futuro nel dialogo tra progressisti e Udc perché Pierferdinando Casini può fare patti con Nichi Vendola (forse) ma non riuscirebbe nemmeno a immaginarli con l'ex pm.

In più, ci sono perfino delle divioni interne apre e dure. Leoluca Orlando dice che va d'accordissimo con Di Pietro (intervista al Mattino) ma aggiunge: lui è il capo, io sono il leader… Luigi De Magistris ricorda ogni due per tre che comunque lui non si è mai iscritto all'Italia dei valori: è – diciamo – come un indipendente di sinistra di un tempo… Perfino Massimo Donadi attacca Tonino: "Ha copiato i 5 Stelle anche con i leader trasformati in zombie. Ma gli elettori scelgono l'originale, non l'imitazione". Ecco, questo è il punto.

Gli elettori scelgono l'originale. Ho sempre pensato e penso tuttora che quello tra Di Pietro e Donadi sia (o per lo meno sia stato a lungo) un gioco delle parti: uno fa il capo combattente e spregiudicato e l'altro fa l'ala moderata del movimento e tiene aperto il dialogo con tutti gli altri. Comunque, anche ammesso invece che ora la rottura sia sincera, viene da riflettere su altri due punti.

Il primo. Se è vero com'è vero che gli elettori scelgono l'originale, Donadi farebbe bene a riflettere sul fatto che le scissioni nei partiti "personalistici", cioè con un forte leader carismatico, non portano mai bene a chi le compie. Anzi.

Il secondo. E' possibile che l'Italia dei valori abbia perso per sempre la sua spinta propulsiva. Del resto, se Walter Veltroni, in uno dei pochi ma gravi errori commessi durante l'ultima campagna elettorale, non gli avesse dato l'apparentamento, forse oggi non esisterebbe nemmeno più. Ma la spinta è quella di Di Pietro. In questo Di Pietro e l'Italia dei valori sono quanto di più simile a Silvio Berlusconi e al peso, fatte le dovute proporzioni, che il Cav. ha sul suo partito.

Se Donadi facesse una scissione per andare con il Pd, gli elettori sceglierebbero l'originale, cioè o il Pd o il fronte antagonista-dipietrista.

  • nonunacosaseria |

    donadi è nessuno rispetto a di pietro, orlando e de magistris. per cui, sì: se facesse una scissione per fare il suo partitino sono d’accordo che non se lo filerebbe nessuno. mi par di capire, però, che se donadi uscisse dall’IdV il suo approdo sarebbe o SEL o il PD, al limite la futura lista civica che però ancora non esiste. in tal caso, non vedo perché non potrebbe essere rieletto in parlamento.
    il punto, però, a mio avviso è un altro e ne abbiamo avuto un primo assaggio venerdì scorso con l’editoriale “svendola” firmato da travaglio sul fatto quotidiano. ossia, una campagna elettorale dai toni esasperati, con donadi equiparato dai suoi ex compagni di partito a un cicchitto o a un dell’utri.

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