Immaginiamoci che cosa succederebbe se Silvio Berlusconi la smettesse improvvisamente di fare riunioni su riunioni, di tentare di convincere Tizio a fare la tal cosa o di convincere Sempronia a non fare la tal'altra cosa, perché tanto con Caio ha già perso la speranza.
Immaginiamoci che cosa succederebbe se invece di continuare a non dire nulla, salvo poche battute prima di salire su una crociera dei lettori del Giornale, convocasse una conferenza stampa, meglio ancora: esternasse mentre fa shopping (sorridente) in centro a Roma. Da solo, senza colonnelli al fianco, perché non è sempre tempo di nomenclature.
Insomma, che cosa succederebbe se proclamasse ai quattro venti: "Cari tutti, l'Italia è il paese che amo, per questo per quasi vent'anni ho lasciato la mia principale attività di imprenditore per dedicarmi, tra alti e bassi, alla cosa pubblica; ho vinto qualche elezione, convinto milioni di italiani, ora penso che la mia ultima discesa in campo sia rilanciare il centrodestra italiano, rifondare con uno scatto di creatività lo schieramento moderato del paese".
Come? "Indicendo le primarie del centrodestra, perché è nella competizione che si forgiano i campioni nazionali, nell'economia come nella politica, dunque: primarie, primarie cui io non parteciperò per renderle davvero aperte e per rendere davvero contendibile (potrebbe aggiungere la battuta: perché se partecipo è ovvio che vinco, ndb) la leadership della coalizione liberal-moderata".
Che cosa succederebbe se Berlusconi salisse su questo sorprendente predellino?
Il Pdl tornerebbe a esistere perché le primarie sono ormai diventate il modo per fare campagna elettorale prima della campagna elettorale, il modo per far conoscere i candidati e le loro idee, il metodo per formare le (nuove?) classi dirigenti. Le primarie – il caso di Giuliano Pisapia a Milano lo dimostra bene – sono un motore che si accende, un volano che, facendo partecipare i cittadini, toglie l'alone di politica politicante ai partiti più tradizionali, rincosegnano agli elettori la sensazione – spesso giusta, a volte ottimista – di poter (ri)decidere.
La successione a Berlusconi diventerebbe una cosa reale. Il Cav. si ritaglierebbe un ruolo da padre nobile e rifondatore e toglierebbe ogni alibi a chi "se c'è ancora lui, noi non ci stiamo…". Molti ambiziosi colonnelli e qualche generale in panchina potrebbero lasciare incarichi passati per misurarsi con la politica e le piazze, anche per scrollari di dosso polemiche e scandali. Qualche giovanotto del centrodestra cercherebbe un camper da affittare per partire. Lo stallo sarebbe superato.
Il rimescolamente generale farebbe perfino passare in secondo piano mediatico le querelle e le inchieste locali. I candidati premier che per ora sono rimasti defilati sarebbero costretti a svelare le proprie carte e le proprie decisioni e a misurarsi con la raccolta del consenso.
Nel centro si avvierebbero riflessioni sulla veridicità della successione a Berlusconi e la scelta di non partecipare per nulla alla gara potrebbe portare a un'autoemarginazione nel panorama politico. Il bipolarismo riacquisterebbe vigore. La politica uscirebbe dalle stanze delle cene (o feste) nelle case private e tornerebbe dove in anno elettorale deve stare, cioè per strada, a spiegare che cosa va o non fa fatto per tornare a crescere, per fare dell'Italia un più grande paese.
Troppo bello?