Come dice Giuseppe Fioroni, ex ministro popolare del Partito democratico: "Non so nulla, ma si muove qualcosa di grosso". Ecco questa è la sintesi perfetta di ciò che pensano quelli che gironzolano nei corridoi della politica in questi giorni. Ovviamente il qualcosa di grosso che si muove pochi sanno che cosa sia, anche se ha qualcosa della balena bianca di un tempo, ma il qualcuno di grosso è certamente il presidente del Consiglio Mario Monti.
Come poteva essere prevedibile, Monti deciderà le prossime elezioni e forse anche il dopo elezioni. Certo, voteranno gli italiani, per fortuna siamo una democrazia, seppur scalcagnata, ma l'uomo che ha in mano le decisioni forti per il futuro del paese, in queste ore, è il professore. Lo dimostra anche il crescente nervosismo nel centrosinistra, vedi l'intervista di Massimo D'Alema oggi al Corriere della sera, quella in cui dice che è "moralmente discutibile che Monti scenda in campo contro la principale forza politica che lo ha votato e sostenuto".
L'altro protagonista, altrettanto ovviamente, è Silvio Berlusconi. Il Cav. ha prima sfiduciato e poi candidato Monti alla guida dei moderati. Le due mosse sono contraddittorie ma in fondo la logica (se una logica si vuole trovare ed è ancora da capire quanto sia sincera nelle intenzioni) è anche comprensibile: per Berlusconi basta che non vinca il centrosinistra – questo desiderio è pure naturale per un leader di centrodestra – e Monti sembra in grado di rimettere assieme quelle forze politiche vecchie e nuove che tutte comprese arrivano a rappresentare quasi tutti gli italiani che non voterebbero comunque sinistra e/o centrosinistra.
Il paradosso è che Berlusconi sembra essersi messo con le sue mani in una strana situazione in cui con lui candidato il centrodestra sarebbe al minimo delle forze politiche raccolte. In sostanza si è messo in una specie di vicolo cieco politico per cui comunque non può essere candidato premier, se non in solitaria.
Perché se Berlusconi fa l'accordo con la Lega Nord, con una campagna antimontiana, Roberto Maroni non lo vuole come candidato premier, preferendogli Giulio Tremonti o al limite Angelino Alfano.
Se invece Berlusconi segue la parte del Pdl più montiana, quella che si riunisce domenica al teatro Olimpico di Roma, con Gianni Alemanno e Franco Frattini, è ovvio che il candidato premier sarebbe appunto Monti.
Questa può anche essere raccontata come la vendetta di Varese su Milano, la nemesi della media città sul capoluogo. I due protagonisti dell'accerchiamento tattico in cui si trova oggi Berlusconi sono infatti Maroni e Monti, tutti e due nati a Varese e tutti e due a marzo (per gli amanti dello zodiaco, sono entrambi pesci) e tutti e due sottovalutati dal milanese Berlusconi.
Al di là della toponomastica e degli scherzi del destino geografico, per capire che cosa succederà da qui alle elezioni bisogna segnare sul calendario, due o tre appuntamenti:
– il
convegno di domenica 16 a Roma, al Teatro Olimpico, di Italia Popolare, la galassia pidiellina più favorevole a Monti;
– Pierferdinando Casini ospite di Che tempo che fa sempre domenica;
– l'iniziativa di riMontiamo l'Italia, giovedì 20 dicembre al centro congressi Roma Eventi, organizzata da Benedetto Della Vedova, Linda Lanzillotta e Gian Luca Galletti;
ma ovviamente soprattutto:
– la conferenza stampa di fine anno del presidente del Consiglio, il 21 dicembre.