Bini Smaghi, il vero atto d’accusa al vero problema dell’austerità

Lorenzo Bini Smaghi, già membro del board della Banca centrale europea ed economista stimato (e ascoltato anche dal sindaco di Firenze e futuro candidato premier Matteo Renzi), ha scritto un libro ("Morire di austerità", Il Mulino) molto interessante e utile per tre ragioni.

La prima ragione. E' un resoconto analitico, completo e dettagliato di come sono andate le cose in Europa dal crac Lehman in poi, ma soprattutto dallo scoppio della crisi greca in poi. C'è anche la cronologia degli eventi. Ma ciò che rende il testo unico nel suo genere è che è scritto da un protagonista senza manie di protagonismo: Bini Smaghi spiega e racconta come uno che c'era, perché effettivamente c'era mentre le cose accadevano, ma senza far notare che appunto è stato uno dei protagonisti. Non si toglie sassolini, eppur ne avrebbe. Non dice "l'avevo detto", eppur forse potrebbe. Non affronta con malevolenza alcun leader europeo, anche se si nota un che di empatia e stima per il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder e le sue riforme, e forse pure un che di empatia per il presidente francese Nicolas Sarkozy e il suo attivismo.

La seconda ragione è che il libro è chiaro, comprensibile e preciso nella sua argomentazione sviluppata per dimostrare una tesi ragionevole eppure originale (di questi tempi): il problema è che di austerità si può morire se l'austerità è fatta soltanto per aggredire il debito sovrano a suon di tasse e non con tagli alle spese e conseguenti riforme strutturali, del mercato del lavoro come del welfare, per affrontare il nuovo scenario dell'economia globale, accettando che i paesi avanzati debbano un po' tornare a comportarsi come paesi (ri)emergenti, con i sacrifici che ciò comporta.

La terza ragione è astuta: il mantra del momento è dare addosso all'austerità, dunque ci sta quel titolo così "attraente", diciamo pure "acchiapponico", ma il punto – ecco perché è utile il libro – è che il volume di Bini Smaghi non ha nulla degli argomenti semplici e ripetitivi del qualunquismo spendaccione di alcuni politici e del "basta austerità, ora si può tornare a far debito". Anzi. Il testo di Bini Smaghi è un vero atto d'accusa nei confronti del vero lato negativo dell'austerità, quello che invece di favorire le riforme le ha frenate, con l'illusione di poter agire soltanto sul lato del più tasse sotto la pressione dell'emergenza, spremendo le classi produttive e aggravando il ciclo recessivo dell'economia.

Scrive Bini Smaghi: "L'incapacità delle autorità di politica economica di capire le origini della crisi le ha spinte ad adottare manovre troppo recessive. Il risanamento ha mirato principalmente a correggere il bilancio pubblico, che era il sintomo della crisi finanziaria e non la causa (con l'eccezione della Grecia). Il problema era l'eccessivo disavanzo esterno, che può essere più efficacemente corretto con un recupero di competitività, attraverso una svalutazione interna mirata a ridurre i prezzi e i costi cresciuti troppo in passato. Il recupero di competitività favorisce la ripresa delle esportazioni e stimola la crescita. Questa strategia alternativa dipende però dalla capacità di adottare misure di liberalizzazione e di riforma dei mercati dei beni e del lavoro, per favorire la crescita dei settori maggiormente esposti alla concorrenza internazionale". Ecco, competitività al posto di austerità. Ben detto.

  • Rocco Doni |

    Ho letto da poco il libro e trovo molto centrata questa recensione. Ma non sul punto della simpatia per Sarko che entra in scena nella vicenda dell’accordo di Deauville ottobre 2010, all’epoca della decisione di ristrutturare il debito greco con coinvolgimento dei privati. Trichet si oppose e mise in guardia sul rischio di contagio che il PSI avrebbe provocato. Sarkozy in conferenza stampa vantò “la vittoria della politica contro la tecnocrazia” della BCE. Salvo rendersi conto subito dopo che la BCE aveva ragione quando ormai il contagio era partito. Là Bini Smaghi un sassolino se lo è tolto, anche se non non per sè personalmente.
    In generale direi un libro argomentato con grande pacatezza e lucidità, ma anche strongly opinionated.

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