Una delle migliori caratteristiche della saggistica anglosassone è quella di saper esporre una tesi e articolare un’analisi attraverso il racconto di una o più storie. Il tutto ovviamente riesce a rendere più interessanti e fruibili, descrivendoli più che enunciandoli, concetti spesso astratti, a volte molto complicati. Per esempio, uno dei migliori saggi sulla grande crisi economico-finanziaria del 2008 e oltre è stato il racconto dei giorni convulsi del grande salvataggio americano fatto da Andrew Ross Sorkin nel libro “Too Big To Fail”. Ora c’è un caso particolare anche in Italia. Giorgio La Malfa ha infatti scritto, sotto le mentite ma affascinanti spoglie di una sorta di biografia intellettuale di Enrico Cuccia e della (sua) Mediobanca (“Cuccia e il segreto di Mediobanca”, 309 pagine, 17 euro, Feltrinelli), un approfondito saggio sull’economia e sulla finanza italiana dalle origini della nazione (o quasi) a oggi, anzi, sugli aspetti italiani di questioni globali come il rapporto tra impresa e credito, tra politica e finanza, tra pubblico e privato. E La Malfa lo fa in profondità, con il passo dello storico delle idee, attingendo alla propria esperienza personale, nei ricordi dei rapporti con lo stesso Cuccia, e alle proprie riflessioni appunto storiche ed economiche, e soprattutto con un’antologia di documenti opportunamente attuali sebbene datati.
Per esempio, scrive Cuccia in un appunto, “in Italia le aziende comprese nell’ampio perimetro delle partecipazioni statali, costituite sotto forma di società per azioni, possono facilmente mimetizzarsi nel panorama economico italiano, senza fare esplodere il problema di urgenza di una loro privatizzazione. La classe politica conta su questa ‘mimesi’ per rinviare il più a lungo possibile una riduzione del perimetro delle partecipazioni statali; o meglio avanza l’ipotesi di ‘vendere il cattivo per tenere il buono’, come se il cattivo fosse vendibile e il buono potesse continuare ad ignorare i problemi connessi con la sua sottocapitalizzazione e con le insufficienze gestionali che lo condannano a diventare, prima o poi, cattivo come il resto”. Ricorda qualcosa, di questi tempi? Cuccia sa essere ancora più esplicito: “Le mie riflessioni mi portano a temere che nelle cosiddette ‘privatizzazioni’ la parte pubblica tenda a mimetizzarsi in formule che le consentano, semmai, di inquinare anche quello che c’è di privato nella combinazione”.
Tutto il libro di La Malfa, raccontando la storia di Mediobanca e del suo particolare ruolo nell’altrettanto particolare capitalismo italiano, affronta inoltre il tema dei differenti tipi di banche, delle divisioni tra loro di compiti – credito a breve, a medio e lungo termine – e soprattutto dei rischi – tra banche commerciali e banche d’investimento – ovvero tutto il saggio di La Malfa affronta la declinazione italiana del problema dei problemi di questa fase della finanza globale, ruolo del credito e degli investimenti compresi. Per esempio, scrive Cuccia, “non posso fare a meno di domandarmi se la moda recente per transazioni a rischio ultra alto non derivi almeno in certa misura da partners e dirigenti che hanno una visione altamento soggettiva dei profitti e delle perdite negli affari di cui si occupano, giacché essi stessi saranno tentati dai benefici di rischi elevati mentre la loro banca dovrà sempre ed in ogni caso assumersi i costi delle eventuali perdite”. Ricorda qualcosa, di questi tempi?
E che cosa fa paura soprattutto di questi tempi? “Nello studiare e nell’indagare sulla crisi e sulle sue cause il fenomeno della caduta dei prezzi è certamente il più notevole insieme a quello dell’incremento della disoccupazione. Resta ancora da vedere se questi siano sintomi, effetti o cause di essa”. Sembra scritto ieri, è stato scritto da Cuccia nel luglio del 1932 a Londra.
Certo, c’è anche il racconto di Cuccia, del suo ruolo da (quasi) solitario esploratore ai confini dell’economia mista italiana: tra pubblico che agisce da privato e privato che si atteggia da pubblico (soprattutto nel socializzare le perdite); certo c’è l’analisi dei segreti del successo, almeno nell’idea cuccian-maranghiana del preservare la propria autonomia, di Mediobanca; ma il libro di La Malfa è soprattutto un saggio su come si scrive un saggio raccontando una storia. Sarebbe bello che fosse preso a modello, insomma che facesse un po’ scuola nel settore spesso molto arduo (se non noioso) della saggistica italiana.