Il futuro del centrodestra è appeso alla dottrina Maroni e al Lodo Zaia. Andiamo con ordine. I centrodestra oggi in realtà sono due. Il primo è il fronte sovranista composto da Lega di Matteo Salvini, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e Direzione Italia di Raffaelle Fitto. Il secondo è il fronte moderato composto da Forza Italia di Silvio Berlusconi ed Energia per l’Italia di Stefano Parisi. Nei paraggi, ma dall’altra parte della barricata, c’è il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano.
Mentre si discute di legge elettorale e il Partito democratico si dilania come sempre nella lotta delle correnti, i centrodestra provano a scrivere lo schema di gioco del prossimo futuro, magari anche per tornare a essere uno.
La dottrina, appunto, l’ha definita il governatore della Lombardia, Roberto Maroni: a livello locale si fanno accordi sul programma, chi accetta il programma (e il candidato che lo propone) è dentro, chi no è fuori. Dunque, a livello locale non si decide in base alle scelte romane, alle alleanze nazionali. Questo serve a Maroni ovviamente per avere un centrodestra unito e allargato all’area popolare in vista delle regionali del 2018, ma lo schema è replicabile altrove, come ha ribadito oggi a Libero il senatore di Forza Italia Altero Matteoli: nessun problema nel centrodestra (che torna uno) per le amministrative.
Resta una variabile non da poco. Chi fa da federatore in caso di elezioni politiche? Quello di Luca Zaia, governatore del Veneto, è il nome che ricorre più spesso nel centrodestra come possibile candidato premier (anche se lui dice di no), seppure l’ipotesi di una candidatura di Paolo Del Debbio continua a piacere un po’ a tutti, non solo a Silvio Berlusconi.
Quello che è certo è che se la dottrina Maroni funziona, il centrodestra può intanto rinviare a lungo la scelta del federatore, viste le condizioni che si sono create in Parlamento e tra i partiti, dopo la vittoria del no al referendum sulla riforma costituzionale, l’uscita da Palazzo Chigi di Matteo Renzi e la sentenza della Consulta sull’Italicum.
Il rinvio può addirittura a dopo il voto (ma questo vale anche per il centrosinistra per la veritè) e riguardare, oltre alla definizione delle possibili coalizioni di governo, anche la scelta dell’eventuale primo ministro.