Ora che è partita la sfida rottamatrice di Matteo Salvini e Giorgia Meloni che cosa può fare Silvio Berlusconi?
Prima ipotesi, la migliore. Segue i consigli non richiesti (giunti indirettamente perfino dall’ex amico e forse ora anche ex nemico Gianfranco Fini, vedi interviste al Foglio e Repubblica di ieri) e si mette alla testa di un tentativo vero di costruire un polo liberale, d’opposizione ma non antipoliticamente antirenziano, senza echi lepenisti. Investe su esponenti alla Stefano Parisi, dialoga con candidati alla Corrado Passera, relega sui temi nazionali e internazionali l’antipolitica allo spazio marginale dell’antipolitica, ritira la candidatura di Guido Bertolaso e converge su quella di Alfio Marchini (non ha sempre detto che divisi si perde?), si ritaglia il ruolo di padre nobile e lancia davvero la candidatura di Paolo Del Debbio alla guida prima di Forza Italia e poi, se è il caso e ci sono le condizioni, della nuova coalizione. Chi ci sta, ci sta. Dove governa con la Lega più ragionevole, continua a governare con la Lega più ragionevole. Per il resto non insegue più i ragazzacci scaltri del consenso facile. Che ha da perdere a fare tutto ciò?
Seconda ipotesi, la neutrale. Continua a non scegliere lo schema di gioco del nuovo centrodestra, fa spallucce ai “traditori” salvinian-meloniani e va avanti come niente fosse e niente di nuovo davvero accadrà.
Terza ipotesi, la peggiore. Si arrabbia sempre di più e gioca a chi la urla più grossa inseguendo i ragazzacci del consenso facile che lo rottameranno.
Così Maurizio Lupi ha ben sintetizzato il tutto in una lettera al Foglio di ieri: “Una coalizione unita da una persona, su cui i cittadini si esprimeranno direttamente, in cui le diversità invece che problema diventano risorse. Questa è la via milanese al centrodestra che non teme ponentini romani. Milano laboratorio? Se lo sarà ancora, come è stato in passato lo si vedrà, non è il problema di oggi. Ma lo sarà in virtù del buon governo che sapremo esprimere, non di una formula politica che si accontenta di sé, dei voti che prende e non accetta la verifica nell’esperienza concreta di governo. I ‘problemi’, se così vogliamo chiamarli, per Parisi, o per Sala (credo di più per Sala, vista la litigiosità politica e programmatica, nazionale e milanese, della compagine che dice di sostenerlo) inizieranno il giorno dopo dell’elezione a sindaco. Certo è che finalmente i milanesi, tra Sala e Parisi, potranno scegliere il sindaco che ritengono migliore e non il meno peggio”.