A Milano va in scena il post Renzi, non nel senso che la stagione di governo di Matteo Renzi stia finendo, anzi, anzi, ma nel senso che a Milano, città sempre un passo avanti rispetto al passo della nazione (chiedo venia se si coglie un troppo marcato accento e orgoglio meneghino, ndD), a Milano – si diceva – si può intravedere quello che potrebbe essere uno scenario politico diverso, nuovo ed erede della stagione renziana. Il post Pisapia per capire il post Renzi?
Scrive Claudio Cerasa, direttore del Foglio, che sparsi per l’Italia delle amministrative ci sono i figli più o meno legittimi del Partito della nazione di renziana gestazione o, ancora meglio (dal punto di vista del Foglio), i figli più o meno legittimi del Patto del Nazareno, ovvero della duratura scappatella di dialogo riformatore da paese normale interrotta in occasione dell’elezione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che – dice il Cav. – nel metodo ha spezzato il cuore di uno dei due nazareni. Sì, ma c’è dell’altro a Milano.
Intanto perché Milano ha vissuto l’insolita ed eccentrica, per il panorama italiano, stagione “arancione”, che al netto delle mitologie osannatrici significa la scelta di una coalizione larga larga di centrosinistra che però tiene conto, nella figura del suo leader e/o garante, Giuliano Pisapia, delle legittime istanze dello schieramento a lui avverso, ovvero del centrodestra moderato che sarebbe (ancora?) maggioranza nel capoluogo lombardo. Quel che Renzi ha fatto a suon di dialogo nazareno prima e di autonomismo rottamator-riformatore e anticoncertativo poi, Pisapia lo ha fatto a Milano attraverso un messaggio politico e una gestione della leadership sempre improntati alla logica del buon padre di famiglia lombarda. L’iper-riformismo pop di Renzi e il buon senso politico di Pisapia hanno ottenuto consensi ed effetti simili aprendo ai voti e alle preoccupazioni dell’altra parte il proprio schieramento politico. Per questa ragione lo scenario ereditato dalla fine della fase Pisapia può essere una sorta di “preview”, di assaggio, di quello che potrebbe essere uno scenario ereditato dalla fine (ovviamente se di lieto fine si tratta) della fase Renzi, quando verrà. Certo, ovviamente Pisapia, pur essendo stato eletto anche grazie al voto di molti elettori di centrodestra che lo scelsero al secondo turno, preferendolo a Letizia Moratti, è stato più bravo (finora, anche se sul finire della consigliatura le crepe si son viste) a tenere saldo il legame con la sinistra della coalizione, non avendo i partiti di centro nella sua compagine (anche grazie alla legge elettorale dei Comuni). Mentre Renzi è stato più bravo ad attrarre consensi (e forze politiche) del cosiddetto centro. Però l’idea di fondo è simile: aprirsi all’idea di conquistare i cuori e le menti (cioè i voti) anche degli altri (da sé) schieramenti. E dunque le due eredità possono essere simili.
A sinistra? Tre, quattro candidati espressione di diversi mondi, ma accomunati da una riconosciuta credibilità e spontaneità. Al centro? Una soluzione post-partitica politico-civica. A destra? La grande incertezza e qualche tentativo di rottamazione per rigenerazione (simil-renziana) del fronte moderato, liberale. Pierfrancesco Majorino, del resto, è il perfetto leader della minoranza di sinistra del Partito democratico – combattivo, ma nella ditta; lanciato sui diritti, ma non ideologico; stanco di parlare di geografie di alleanze del tempo che fu (Sel chi?) – e non è detto che non lo sarà nel futuro più o meno prossimo. Francesca Balzani, peraltro sostenuta dal renziano della prima ora Stefano Boeri, è l’alfiere dell’orgoglio tecno-politico del bilancio come chiave di tutte le riforme. Pare Padoan. Beppe Sala è il ritorno del pendolo (anche dopo Renzi accadrà) dal tecnico della politica alla politica del tecnico (che piace anche ai liberali). E’ un Pisapia meno politico e più tecnico, come dopo Renzi ci sarà… Il vuoto a destra è figlio del pieno a sinistra, che poi quel pieno sia (stato) colmato da Pisapia qui e da Renzi lì, nei fatti l’effetto è più o meno lo stesso. Al centro Corrado Passera? Senza un post dc alla guida del Pd, il centro sarebbe molto più balenottero bianco. E la Lega? Per ora protesta, ma non sta giocando la partita milanese, almeno non in pubblico.
In politica nulla si ripete allo stesso modo. Ma in politica le affinità elettive degli effetti possono aiutare a comprendere le cause, anche e soprattutto quando sono diverse.