Stefano Parisi, già city manager di Milano, peraltro come il suo concorrente Beppe Sala, vincitore delle primarie del centrosinistra, è un candidato forte a sindaco di Milano. Non c’è dubbio. Ma Parisi, per come si stanno mettendo le cose nella coalizione che rappresenta, corre (più di) un rischio. Appare già “un po’ troppo abbracciato” dai partiti e peraltro da partiti non troppo rinnovati.
Certo, Forza Italia, Silvio Berlusconi ancora regnante, fa il suo mestiere di movimento politico che vuole riprendersi almeno un po’ dalla crisi in cui versa, quindi Mariastella Gelmini si sta dimostrando tatticamente molto abile: sarà capolista azzurra alle elezioni milanesi, ha contribuito a trovare la quadra con Ncd e Lega, ha portato alla candidatura Parisi senza strappi. Però, appunto, lei sta facendo al meglio il suo mestiere e con in testa il suo obiettivo: salvare Forza Italia. Anche per questo motivo Parisi non dovrebbe avere (per FI non può avere) una “sua” lista civica. Per questo motivo Parisi è molto lanciato (da FI) come il candidato sindaco forte che può rilanciare FI. L’operazione politica è di buona pasta. Sì, ma lui, da candidato, ci guadagna o ci perde qualcosa nella corsa per Palazzo Marino a legare la sua candidatura a una scommessa politica di partito e dei partiti? Inoltre, gli altri capilista e/o capipartito non hanno propriamente il vento delle novità in poppa, dal punto di vista di Milano: l’esperienza di Riccardo De Corato è indubbia, ma appunto è di lunga data. Che poi Ncd decida di usare una lista senza il simbolo dell’Ncd e un po’ più scapigliata è perfino ovvio e alla fine risulterà anche azzeccata come scelta. Anche qui Maurizio Lupi si dimostra politicamente scaltro e sensibile agli umori padani. Però anche questa è una questione di partito. Matteo Salvini è Matteo Salvini e la Lega è la Lega, e peraltro Salvini entrava già in Consiglio comunale di Milano nel lontano 1993. Gabriele Albertini, invece, il sindaco di Milano lo ha fatto dal 1997 al 2006 e fino alla scelta del nome di Parisi, “suo” city manager, sosteneva Corrado Passera.
La sostanza appare questa: i partiti di centrodestra hanno trovato una buona soluzione (politica) per ricostruire (o tentare di farlo) l’alleanza, provare a giocare una partita per stabilizzarsi un po’ al loro interno e nei loro rapporti (soprattutto se si paragona la situazione di Milano a quella di Roma si intuiscono subito i punti forti di Parisi e del centrodestra lombardo) e magari anche giocarsela nella corsa per Palazzo Marino. Parisi però così rischia di perdere il bello della sua candidatura, ovvero di essere un manager apprezzato che conosce la politica ma non è imbrigliato dai partiti.
Anche Beppe Sala, certo, corre un rischio analogo nel centrosinistra, ma mr Expo può contare sulle primarie vinte e su un movimento autonomo e vivo in città a sostegno della sua candidatura, un movimento di opinione fuori dai partiti e trasversale alle culture politiche. Naturalmente, vista la proverbiale tendenza alla litigiosità di certi ambienti del centrosinistra, da sindaco Sala avrebbe comunque il suo bel daffare a tenere assieme Pd, arancioni e sfumature discorrendo, ma la sua ora sembra “meno” un’operazione di partito e dei partiti. E questo per lui è un vantaggio. Su questo punto debole della buona operazione Parisi punteranno certamente gli altri candidati della stessa area culturale, Corrado Passera e Nicolò Mardegan.