L’imminente nascita del governo Renzi bis senza Renzi, ovvero la prosecuzione del governo Renzi con altri mezzi, suggestione evocata anche dalle parole del presidente del Consiglio incaricato Paolo Gentiloni, libera le mani del segretario del Partito democratico, lo stesso Renzi, tornato davanti al suo computer nella casa di Pontassieve.
La sera del voto referendario è infatti iniziata la campagna elettorale per le prossime politiche e Matteo Renzi non poteva condurla davvero e ad armi pari restando a Palazzo Chigi: avrebbe smentito se stesso e avrebbe dovuto metter mano (la propria mano) a provvedimenti certamente non troppo popolari, come il salvataggio di Mps, dopo aver avuto una sonora bocciatura sul fronte delle riforme, cioè la vera ragion d’essere (ricordate le prime slides, quelle di una riforma al mese?) della sua esperienza più o meno serena a Palazzo Chigi.
Ora i tre principali leader e i tre principali schieramenti sono pronti alla pugna, alla battaglia, e più o meno in posizione simile. Matteo Renzi, Beppe Grillo e Matteo Salvini sono accomunati peraltro anche dalla richiesta di andare alle urne (davvero) il prima possibile.
Il segretario del Pd, con le mani più libere, può dedicarsi a recuperare i consensi perduti tuittando dalle stanze di Palazzo Chigi, magari postando su Facebook all’una di notte e facendosi vedere un po’ meno in giro con i politici più tradizionali. Tattica giusta, strategia legittima: rimettersi in cammino, come dopo l’altra sconfitta, quella delle primarie contro Pierluigi Bersani.
Per Grillo e Salvini il copione è già scritto e chiaro: gridare al “governo avatar di Renzi”, occupare le piazze e gli Aventini, chiedere di andare al voto il prima possibile. Niente di particolarmente nuovo sul fronte della politica dell’antipolitica.
Anche a sinistra del Partito democratico, rifiutata (per ora) l’idea di Giuliano Pisapia di un Campo progressista che dialoga con il renzismo, non si vedono all’orizzonte novità clamorose.
Restano due incognite.
La prima riguarda, come sempre da un po’ di tempo in qua, l’eterno congresso permanente del Partito democratico. All’ombra di un governo guidato da una persona seria e da un politico preparato come Paolo Gentiloni, che cosa faranno le componenti antirenziane, oltre a tentare di allungare il più possibile la vita del nuovo esecutivo e di accorciare il più possibile quella della segreteria Renzi?
La seconda riguarda, come sempre da un po’ di tempo in qua, l’eterna incerta collocazione di Forza Italia. Come spesso accade, Silvio Berlusconi (legittimamente) si tiene aperte più porte, in attesa della sentenza europea che – spera – potrebbe ridargli qualche spazio in più di agibilità politico-elettorale.
In questo caso Berlusconi di porte se ne tiene aperte due, mentre propone la sua Forza Italia come l’unica forza di opposizione (più) moderata al governo Gentiloni ed egli stesso come l’unico interlocutore possibile, fuori dalla maggioranza, per la (ri)scrittura della legge elettorale.
Le due porte che si tiene aperte sono: quella che conduce alla riunificazione del centrodestra con un accordo con la Lega di Matteo Salvini, favorito dal dialogo sempre attivo con la Lega di Roberto Maroni e di Luca Zaia, e quella che porta all’accettazione della divaricazione sempre più netta tra le due anime del centrodestra che fu, con una Forza Italia in posizione di partito liberal-centrista, ago della bilancia probabile nel processo inevitabile per la (ri)scrittura delle legge elettorale e magari anche delle future maggioranze parlamentari post-elettorali.
Nel primo caso, Forza Italia corre il rischio di (auto)marginalizzarsi nel ruolo di alleato minore di una coalizione a guida lepenista, ma fa prevalere l’intenzione di non mettere a rischio i governi di Lombardia, Veneto e Liguria, soprattutto in vista delle elezioni lombarde del 2018. Nel secondo caso Berlusconi e Forza Italia farebbero bene a rispettare e tenere in debita considerazione il tentativo di Stefano Parisi di raccogliere nuove energie per il futuro di uno schieramento liberale e popolare sotto la guida di un leader, di un programma e di un movimento credibili.
C’è da scommettere che la decisione berlusconiana non sarà imminente, ma se Renzi, Grillo e Salvini sono già in campagna elettorale e con le mani libere, forse è bene che l’area liberale e popolare si metta in cammino. Parisi ci prova. Vedremo.