Con l’intervista di oggi di Matteo Salvini, leader della Lega nord, alla Stampa l’Italia esce dalla prospettiva tripolare ed entra nella fase quadripolare della propria recente storia politica. Il centrodestra da oggi, anche se le avvisaglie c’erano da tempo, almeno dalle scorse amministrative, non è più uno, ma sono due. C’è un centrodestra a trazione trumpian-lepenista guidato da Salvini, con Giorgia Meloni, e i suoi Fratelli d’Italia, e Raffaele Fitto, e i suoi Conservatori riformisti. C’è un centrodestra a trazione liberal-popolare guidato da Silvio Berlusconi, con l’esperimento di Stefano Parisi, e delle sue Energie per l’Italia, e il dialogo con il Nuovo centro-destra e gli altri pezzetti del centro post-esplosione della Scelta civica montiana.
E’ certamente possibile, se non ovvio, che all’avvicinarsi delle elezioni si (ri)tenti, soprattutto da parte di Berlusconi, di ricondurre all’unità le due anime ormai separate del centrodestra. Ma la cosa rischia sempre più di apparire velleitaria e addirittura controproducente per entrambe le anime ormai separate del centrodestra. E’ vero, come dice spesso Berlusconi, che solo unito il centrodestra vince, ma ormai a Berlusconi sembra interessare soprattutto pareggiare, oltre naturalmente a tornare “candidabile”, Europa permettendo.
La ragione vera del desiderio “proporzionale” espresso a più riprese dal Cav. in materia di legge elettorale è la constatazione, naturale per un leader realista e pragmatico fino agli eccessi come Berlusconi, che riunire il centrodestra, soprattutto sotto la sua guida, non è più una vaste programme, ma un sogno (quasi) irrealizzabile. Quasi, perché a livello regionale, soprattutto in vista delle prossime amministrative, in particolare nella prospettiva del voto in Lombardia nel 2018, le due anime ormai separate del centrodestra sono abbastanza spregiudicate, nel senso politicamente pragmatico del termine, da pensare perfino ad alleanze locali non supportate da patti di governo nazionali.
Insomma, l’impresa è difficile, ma il centrodestra a trazione trumpian-lepenista e quello liberal-popolare potrebbero anche salvare le alleanze nelle Regioni e nelle amministrazioni locali, pur di garantirsi vittorie e centri di governo e potere, ma dividersi a livello nazionale. Non è semplice, ma è in pratica quello che sta già accadendo. In fondo è già avvenuto con la stessa candidatura di Stefano Parisi a Milano.
L’ambizione alla vittoria di Salvini fa propendere la Lega e i suoi alleati verso una scelta di sistema elettorale di nome, anzi, di cognome Mattarellum. La scelta tattica votata a fare da ago della bilancia in caso di pareggio o quasi tra i tre, quattro poli induce invece Berlusconi e i suoi alleati, Parisi compreso, a optare per un sistema proporzionale.
Se da un punto di vista tattico è oggi più facile un accordo dei due Matteo, Salvini e Renzi, per il Mattarellum e un ricorso rapido alle urne, da un punto di vista più strutturale e strategico sembrerebbe più alla portata un Patto del Nazareno 2.0 tra Pd e centro berlusconiano, in vista di possibili nuove alleanze nella prossima legislatura.
In tutto ciò, due sono le principali variabili da tenere in grande considerazione: la prima è la sentenza della Corte costituzionale sulla legge elettorale, la seconda è la presidenza della Repubblica e il suo ruolo di garante della Costituzione, dal punto di vista istituzionale, e della stabilità, dal punto di vista politico-economico.
La terza variabile, molto meno nobile ma naturale, è la ovvia propensione dei Parlamenti e soprattutto dei parlamentari a mantenersi in vita fino a morte naturale, e a diritti pensionistici acquisiti, della legislatura. Sembra dunque di capire che molto, se non tutto, dipenderà dalla reale forza e dalle vere scelte di Matteo Renzi (e in parte anche di Matteo Salvini). Palla al centro.
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